martedì 16 dicembre 2008

Mancanza/What it takes

Cercherei ciò che mi manca, tra muscoli e rottami,
avremmo bisogno di libri più facili, canzoni più belle,
mi vedo positivo, in un negativo,
la foto di un futuro più interessante
di un presente troppo attivo,
Come avrei bisogno di una ciocca di capelli di quella violoncellista di spalle
sull'autobus,
per far giocare quel gatto schizoide che è la tristezza,
lasciarlo correre a lasciare le sue pisciate per i corridoi di un palazzo
cattivo,
(la carta taglia molto a fondo e fa male,
ma non quanto le parole)

Un disegnatore talentuoso ed indeciso non sa quale forma scegliere per il suo prossimo
fumetto: sono tutte troppo tristi o troppo allegre.
Ma un fumetto non è la vita.
In un fumetto si può essere veramente felici,
o sempre tristi.
(per lui il successo è dietro l'angolo, gli basterà non pensare alla vita per un attimo)

Ma tu per favore non andartene
non andartene
non andartene mai

a Giulia

domenica 7 dicembre 2008

Real State

Nervous performance tonite
Inspiration splintered in nerves
(forget AND concentrate)...
Revolution and questionable order
(electric impression)
Broken judges like spectators
Sitting magnetically
(powerless)

giovedì 4 dicembre 2008

Eternità

“Gira, gira!!!!!”

Niente, non feci in tempo, la macchina sfondò il guardrail e precipitò.

Ricordo quell’istante. Mi girai verso lei, i suoi occhi non erano mai stati più belli di allora.

La paura li aveva spalancati così che potessero mostrare tutto il loro nero. Sembravano enormi.

E le sue guance contratte, quasi spasmodiche, ferme in quell’urlo.

Avevano un qualcosa di eccitante, di così primitivo, un riflesso nato ancor prima della propria idea.

Mostrava i denti. Bianchi, perfetti.

È qui nella mia testa, come una fotografia a colori.

Non mi accorsi subito, ma la sua mano si stava posando sulla mia, sulla leva del cambio.

Si ricordo tutto. Dal finestrino aperto entrava aria fresca; era agosto, ne avevamo bisogno.

Ricordo di aver visto i miei occhiali partire, cadere, forse sotto il cruscotto.

Le sue unghie inficcarsi decise nella mia pelle. Proprio qui dove ancora il tempo non ha portato via il segno.

Avrei voluto abbracciarla, dirle di stare calma, che qualcuno ora ci avrebbe preso e portato di nuovo sulla strada, ma pensai come fosse inutile perdere quel poco tempo a dire bugie.

E allora dissi: “Sei mia!”, che non era una bugia, perché era quello che sentivo. La sentivo mia.

Sembrò così stupido, ma bello. Lei si girò e mi parve che la sua espressione si addolcì, anzi ne sono sicuro, un sorriso le comparì in volto.

O forse era solo un altro spasmo, ma mi piace pensare che fosse un sorriso.

Mi ricordo anche il suo profumo, e non so perché in quell’istante la macchina ne era piena.

Un tipico odore di frutta, di quello che le donne usano nei mesi estivi, eppure sembrava tutt’altro.

Non so spiegarlo, ma se non avevo paura era anche per colpa di quell’odore.

Lo sento ancora se chiudo gli occhi, e continuo a non aver paura.

Riesco addirittura a vederlo se chiudi gli occhi. È un cerchio. Bellissimo, perfetto.

Ricordo di essermi girato a guardare dietro, c’era la rosa che le avevo portato, sul sedile posteriore.

Ricordo come mi rammaricai di non poterla mettere in vaso, a casa, vederla appassire ogni giorno di più, e prendermi gioco di lei, perché il tempo non l’aveva resa eterna, come invece sarei stato io, fermo in quell’estasi suprema che è guardare la donna che ami, vivere.

Non sarei invecchiato, no, impossibile, mi sarei solo adeguato al suo cambiamento, per continuare a starle vicino.

Cosa è questa cosa sulla mano? Ah già, il suo graffio, ancora sanguina.

Deve aver avuto tanta paura. Eppure rideva, si ne sono certo.

Non avrei mai permesso che smettesse di ridere, quindi sono certo che ridesse. Forse anche lei pensava alla rosa, rideva di lei.

Chiudi di nuovo gli occhi e quel cerchio mi si ripropone davanti. È così bello. Al centro c’è quella foto, come una cornice fatta di inconsistenza.

Ricordo la musica, non mi ricordo cosa, ma ricordo che c’era la musica. Ricordo che canticchiavamo, non mi ricordo cosa, ma cantavamo.

Si cantavamo, ora lo so, era per quello che avevo perso il controllo, perché ad un tratto la guardai.

Ricordo c’era qualcosa che mi incuriosì, forse un piccolo particolare che non avevo mai notato. O qualcosa di diverso, un orecchino forse?

Poi tornai a guardare la strada, anche se non si può dire che tornai a guardarla, l’unica cosa che feci fu cercarla, perché non c’era più.

C’era solo blu che entrava dal parabrezza. E ricordo come fece male quel colore così forte.

Forse fu per quello che cercai gli occhiali, si deve essere così.

Tutte queste cose sono ancora qua nella mia testa, la rosa, la mano, gli occhiali, il blu e se chiudo gli occhi quel cerchio di profumo.

E se li apro ci sono solo queste persone che non conosco, ora si che ho paura.

Poi la vedo, davanti a me sul selciato c’è quella rosa prima distesa dietro.

Ora è lei a ridere. Ride di me?

La sento la paura, vorrei urlare ma non posso, scappare ma non riesco, allora mi rifugio nell’unico posto che sento amico.

Chiudo gli occhi.

L’eternità.

venerdì 21 novembre 2008

Disgusting blood machine,
selling narcotics and delirium.
Dead bourbon: my sleepy judge;
metal stomach mixed with tenuous tape-recorders

venerdì 31 ottobre 2008

Se questo è un uomo

Rileggendo le opere di Primo Levi mi sono apparse sotto gli occhi un paio di riflessioni che vorrei condividere con voi.

1. I Lager nazisti sono stati l'apice, il coronamento del fascismo in Europa, la sua manifestazione più mostruosa; ma il fascismo c'era prima di Hitler e Mussolini, ed è sopravvisuto, in forme palesi o mascherate, alla sonfitta della seconda guerra mondiale. In tutte le parti del mondo, là dove si comincia col negare le libertà fondamentali dell'uomo, e l'uguaglianza fra gli uomini, si và verso il sistema concentrazionario, ed è questa una strada su cui è difficile fermarsi.

2.Occore dunque essere diffidenti con chi cerca di convicerci con strumenti diversi dalla ragione, ossia con i capi carismatici: dobbiamo essere cauti nel delegare ad altri il nostro giudizio e la nostra volontà. Poiché è difficile distinguere i profeti veri dai falsi, è bene avere in sospetto tutti i profeti; è meglio rinunciare alle verità rivelate, anche se ci esaltano per la loro semplicita e il loro splendore, anche se le troviamo comode perché si acquistano gratis. è meglio accontentarsi di altre verità più modeste e meno entusiasmanti, quelle che si conquistano faticosamente, a poco a poco e senza scorciatoie, con lo studio, la discussione e il ragionamento, e che possono essere verificate e dimostrate.

3. "Devo dire che l'esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto... C'è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. Non trovo soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo."


Buona giornata.

giovedì 11 settembre 2008

Pugni

Spogliatoio non è solo un sostantivo singolare maschile. E’ un sostantivo singolare maschio. E’ come Rasoio, oppure Coltello, che ne so. Giornale, o Teatro, non fanno lo stesso effetto. Quelli sono solo sostantivi maschili, semplici, pura distinzione di Genere.

Spogliatoio, invece... Spogliatoio è Uomo, non solo Maschio, porta con se’ immediati ricordi di odore aspro di sudore, e candeggina, e dopobarba da due soldi. Porta idee di muri e macchie gialle, di orinatoi, di asciugamani umidi.

Sauna, invece... beh Sauna è femminile e femmina. Calda, umida e avvolgente...più Femmina d’una sauna non c’è davvero niente.

Dalla sauna sfilo un asciugamano che ci ho lasciato dentro qualche minuto e caldo e bagnato me lo appoggio sul collo per rilassare i muscoli. Poi mi siedo sulla panca di legno, i gomiti poggiati sulle ginocchia, lo sguardo fisso verso il pavimento bianco chiazzato, e resto in silenzio in questo spogliatoio mascolino e asettico a lasciare che il sudore mi scorra addosso. Sento le gocce scivolare dalle tempie e scorrere verso il naso, rigare gli zigomi, fermarsi a giocare qualche secondo sulla punta del naso e poi cadere a terra. Nel silenzio che c’è, ogni goccia che cade sembra un’esplosione.

Mi concedo un quarto d’ora di tranquillità ogni volta che devo salire sul ring. Non che siano grandi incontri, i miei... non sono un pugile professionista. Sono poco più che allenamenti con qualche amico. I pugni, però, sono sempre veri. In uno sport come la boxe il concetto di allenamento ha una valenza relativa... quando giochi su un terreno le cui regole sono distruggere l’essere umano che c’è davanti a noi, non c’è modo di edulcorare la realtà. Non puoi chiedere a un pugno di non stenderti, o di non farti male.

L’orologio segna le 22, è ora di andare di là. Stendo la mano lentamente alla mia destra e afferro le fasce per prepararmi a salire sul ring.

Di tutti gli strumenti che la boxe ti costringe a frequentare, le fasce sono senza dubbio le mie preferite.

Due metri e mezzo di poliestere e cotone, con un anello di stoffa da un lato e un cinturino di velcro dall’altro.

La fascia rende un pugno duro come un sasso. Protegge la mano, stringendo le nocche per evitare che si allarghino e indurendo il polso, evitando che si pieghi e subisca sforzi inopportuni e traumi conseguenti.. Al tempo stesso, comprime e stringe ossa e carne in un unico cono rigido, rendendo un pugno uno strumento perfetto.

Ma non è solo perchè sono utli che mi piacciono... Ci vedo dentro qualcosa di sacro, un retaggio del passato. Gli antichi sacerdoti greci indossavano fasce prima di officiare i riti per gli Dei. Quelle bende venivano conservate e difese anche con le armi, se necessario. Era da quelle fasce che quegli uomini sacri prendevano la loro forza spirituale.

Su un altare ben più profano celebro il mio, di sacrificio.

Comincio così il mio rito pagano, afferro la prima fascia, fisso l’anello alla base del dito medio e inizio a farla girare. Tre giri ben stretti intorno alle nocche, poi scendo gradualmente e inisto sul polso,

Tredici giri e la mano è pronta. Altri tredici, e sono pronto ad andare.

Le mani si fanno compatte, e le senti appesantirsi, e contemporaneamente le senti come se fossero invicibili.

Prendo i guantoni, li metterò solo all’ultimo momento.

Mi alzo e cammino veloce fuori dallo spogliatoio. Come al rallentatore spingo lo sguardo fuori dalla porta mentre la apro. La luce del corridoio mi cattura e non penso più a niente.

Dal momento stesso in cui sono fuori di qui, è già boxe.

Quattro ore dopo, sdraiato nel mio letto, fisso il soffitto respirando piano. La luce filtra dalle persiane semichiuse, e illumina di strisce tenui tutta la stanza, rendendo il nostro mondo zebrato. Sento caldo sulla spalla, su cui scendono i tuoi riccioli biondi, ma è una splendida sensazione. La tua testa ha trovato un appoggio comodo fra spalla e petto, e senza guardarti posso sentire il tuo corpo muoversi al mio fianco. Sollevi una mano con un gesto lento, e bellissimo, e la porti sul mio naso un po’ ammaccato dall’incontro di stasera. “A lui è andata peggio”, ti dico. Sorrido piano e tu ti giri a guardarmi. Mi baci per impedirmi di dire altre cose fuori luogo. E io sorrido un po’ più forte, perchè è proprio questo che mi piace, di te.

Lascio penzolare la mano sinistra fuori dal letto finchè non artiglio la scatola dei sigari e l’accendino. Accendo un mozzicone di Toscano – quella di fumare a letto è una pessima abitudine che ho preso da poco – e soffoco un colpetto di tosse quando la prima boccata di sigaro mi secca la gola come se fossi in pieno deserto. La tua mano mi scorre sul petto e poi inizia a scendere verso l’addome. All’ombelico si ferma e torna su, con un movimento circolare, risalendo dall’altra parte del busto, e ricominciando. Una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, tredici volte.

Ed è lì che finalmente è tutto chiaro.

Non credo troppo nel destino e ho tanta fantasia. Per questo ho capito che tu sei le fasce della mia vita. Come la fascia impedisce al pugno di farsi male e lo rende più forte, tu stai facendo la stessa cosa col mio cuore. Quelle tredici carezze mi hanno fatto capire che si, è proprio così.

Chiudo gli occhi e spengo il sigaro in un bicchiere. Sfrigola un po’ a contatto con l’acqua, è il rumore di un istante ma nel silenzio lo si sente bene.

Non ti guardo e mi chiedo che rumore farà un cuore che diventa più forte.

D.

domenica 7 settembre 2008

September Hymn#1

Instruments meticulously playing a goofy jazz,
Teaching strange neons
Technical phrases.
Oh, mother, I'm sweating exuberance,
curly-haired ideas glittering! (whooee),
Like a lovely woman looking contemplative.

mercoledì 3 settembre 2008

Six is a fix!

Evviva il mio adorato Stephen King che ha sempre delle ottime trovate riguardo alle sue cose.
All'orizzonte si profila una raccolta di racconti intitolata "Just after sunset"(yummm), in uscita l'11/11/2008 (per la traduzione italiana aggiungete qualche mesetto). Nel frattempo potete ingannare l'attesa qui, deliziandovi con la riuduzione a miniserie fumettistica (di mano Marvel) di uno dei pezzi inediti della raccolta: "N.", un disturbante incrocio tra psichiatria e H.P. Lovecraft, musica per le orecchie di ogni kingofilo.
Dimenticavo, purtroppo la miniserie è recitata in un inglese non propriamente di base con un marcato accento americano, cosa che potrebbe risultare ostica a qualcuno, sorry guys, not our fault.
Come al solito, fatemi sapere cosa ne pensate.
A presto,

M.P.

domenica 24 agosto 2008

"Finchè la barca va, lasciala andare, finchè la barca va, tu non remare..."

NUVOLE

La rabbia urla,

grida tramutate in spade

si conficcano nell'addome

tra il respiro mozzato e

il calore del dolore.

Scendono lacrime davanti

alle labbra chiuse.

Stanco.

Questo cielo

sembra non cadere mai.



mercoledì 20 agosto 2008

Rari momenti d'estasi

Frugando in rete per impervie e incalpestate vie, ho scovato questo bellissimo sito (completamente in inglese), dedicato alla poetica dello scrivere (si ripromette anche di essere un efficace antidoto al blocco dello scrittore).
Di seguito un esempio delle potenzialità di questo piccolo capolavoro informatico: una poesia composta in parte dall'ispirazione del sottoscritto e in parte da quella del sito suddetto.

Anonymous orgasms cough morphine masturbations
(boiling agony)
Whores sucking decapitated evangelists
Screaming in pain for a time habit
Disgust licks broken clocks
Dead addicts automaticly eaten by the schizophrenic clima

Non male, no? composta utilizzando il vocabolario e le tecniche di William S. Burroughs, e ci sono pure Baudelaire, Kerouac, un generatore di titoli e uno di nomi per personaggi....
Io un giretto ce lo farei, ne vale la pena.
www.languageisavirus.com

domenica 17 agosto 2008

Covering famous pictures...


Per la prima volta avrete l'opportunità di dare un volto a due pazzi che scrivono su questo blog (oramai ahimè piuttosto deserto). Ovviamente non darete mai nomi a queste due figure. Vi abbiamo già dato un volto, ora basta! No, ho detto basta! BASTA!

martedì 12 agosto 2008

...e fanno le olimpiadi

Si, anch’io sono stato in guerra. Molte volte.

Ho vinto ed ho perso. Ho calpestato i miei compagni caduti, bramoso di sangue, giustificando le mie azioni con ideali e vendette.

Nella sconfitta sono stato ferito, ho implorato pietà, sono stato torturato e ho svelato i segreti dei miei compagni.

Nella sconfitta ho rinnegato il mio popolo.

Nella vittoria ho fatto quello che fanno i vincitori. Ho saccheggiato, ucciso innocenti, e stuprato donne. Mi sono beato del sangue e, Dio mi perdoni, ne ho goduto.

Nella vittoria ho rinnegato me stesso.

È per questo, figlio mio, che spero tu sia sconfitto.


Alle vittime del Caucaso

lunedì 11 agosto 2008

San Lorenzo

E se fosse proprio dietro l'angolo?, Dici di controllare?, Beh direi che già che ci siamo possiamo fare un tentativo no?, Effettivamente, Ok dai andiamo, Tu ce l'hai il coraggio per guardare?, No, però se lo facciamo insieme vengo, Ok allora al mio tre Ok?, Va bene, Allora uno due, Aspetta siamo davvero così sicuri?, Che fai me lo dici mentre sto per dire tre? No, no scusa era solo per capire se vogliamo veramente farlo, Lo sai anche tu che siamo stati mandati qua per questo, è il nostro lavoro, Si lo so però non ci vede nessuno, volendo possiamo anche dire che non c'era, Non è questa la questione, io mi sto guardando, lo saprei di essermene andato, Ah ancora con queste cose da psicofilosofo, Lo vogliamo fare o no?!, Si si andiamo, Allora ricomincio uno due, Etciu! Scusa mi è scappato, Se mi blocchi ancora un'altra volta giuro che ti ci mando da solo, Ho detto che non ci ho fatto apposta, Si si intanto è la seconda volta che lo fai, Dai avanti conta, Certo così mi fermi di nuovo, Dai conta ti giuro che non ho fatto di proposito, Non ti credo, Va bene conto io, Uno due e tre!

Niente, Lo vedi ti avevo detto che non c'era niente, Andiamocene.

Guarda là c'è una strada, potrebbe essere dietro quell'angolo, Quale?, Là sotto quel lampione acceso, Ancora?, E se fosse lì?, Va bene andiamo.

E fu così che il matto si incamminò quatto quatto verso la sua sconosciuta meta.

E nel cielo cadde una stella.

lunedì 28 luglio 2008

Bonaccia

Poco vento in poppa, ultimamente da queste parti.
Ci trasciniamo stancamente da qualche mese ormai, ma che volete farci? Purtroppo all'ispirazione dei nostri collaboratori non si può dare una spinta come non si può mettere un freno (questa seconda ipotesi è alquanto comica, ma la lasceremo qui per amor di completezza).
Però, come disse la prostituta al marinaio timido: "Tesoro, non è quanto ne hai ma come lo utilizzi", si spera che la qualità dei miseri interventi che si sono susseguiti di recente vi siano garbati, pochi ma buoni...no?
Beh ok, mi sono scusato a nome di tutti per la lentezza biblica e l'ignavia che ci ha colpito di recente, e anche se avrò probabilmente scritto queste parole per nessuno (credo che i nostri fedeli siano ormai morti o ci abbiano rinnegato), vi saluto e vi do appuntamento alla prossima


"Sad to say, I must be on my way
So buy me beer and whiskey 'cause I'm going far away"

The Pogues "Sally MacLennane"

giovedì 3 luglio 2008

But why...

Perchè gli anziani ci guardano quando passiamo, per strada?

Da questo apparentemente irrisolvibile ed affascinante interrogativo nasce, a mio parere, un paradosso che è sicuramente non meno significativo di quello del gatto di Schrodinger(non ho voglia di cercare la "o" con l'umlaut). Dopo un lungo periodo di sperimentazioni e lavoro di campo sono infatti giunto alla conclusione che sia praticamente impossibile constatare se una persona anziana(che in questa sede, per semplificare, annoteremo con la sigla "vecchio" ossia Very Elderly, Creeping Ciononostante Heathen Inquisitive One)continui o meno a fissarci al nostro passaggio, una volta usciti dalla di costei visuale.
Le mie sperimentazioni, tuttavia, mi hanno permesso di formulare un modello, realisticamente attendibile, secondo cui, nel caso in cui noi ci si giri a guatare l'attempato scrutatore, costui, nella quasi totalità dei casi, ci osserva con aria di disapprovazione e ribrezzo oltre ad una puntina di incredulità nei nostri confronti, quasi a voler dire"ma do' cazzo vai?"(o espressioni equivalenti nei diversi vernacoli in cui l'eterogeneità dei soggetti si esprime). L'attento et razionale lettore non si asterrà dal valutare incredibili i risultati di questa mia ricerca.
Sarebbe quindi apparentemente impossibile definire le attitudini comportamentali dei V.E.C.C.H.I.O.s, dopo essere passati al loro cospetto, per le vie del mondo.
Una strada risolutiva apparentemente percorribile potrebbe essere quella di aggiungere una terza variabile alla nostra equazione, vale a dire un secondo ossevatore che possa testimoniare il comportamento e le attitudini di un V.E.C.C.H.I.O.. Ma anche in questo caso, come mi sono già premurato di sperimentare, si incappa comunque in un vicolo cieco. Si possono intraprendere due sentieri i quali ci porteranno a questa conclusione fallimentare, entrambi lastricati di aristotelismo:


Caso A: L'osservatore esterno è un giovine. Codesta tipologia potrebbe dimostrarsi un valido appoggio. Tuttavia, proprio il suo essere valido, ossia giovane, lo rende inadatto al compito, in quanto andrebbe a falsare la veridicità dell'esperimento. Difatti, nel momento in cui un osservatore giovane osserva un V.E.C.C.H.I.O., quest'ultimo sposta immediatamente il suo (peraltro limitato)campo visivo sul nuovo osservatore. Nel momento in cui si decidesse, infine, di osservare contemporaneamente lo stesso soggetto V.E.C.C.H.I.O. in più di un giovine, verrebbero a mancare le premesse fondamentali per la bontà dell'esperimento antropologico: il V.E.C.C.H.I.O, non sentendosi più a suo agio e nel suo habitat naturale, volerebbe via.

Caso Jenny: L'osservatore esterno è un V.E.C.C.H.I.O.. Dato che, parafrasando il teorema Padoa-Schioppa, il mondo si divide in vecchi e bamboccioni, l'unica alternativa possibile è investire del compito di osservatore esterno un V.E.C.C.H.I.O.. Come lo scaltro lettore avrà già intuito, tuttavia, questa tipologia non può assolutamente prestarsi a tale compito, in quanto soggetto stesso della sperimentazione e portatore sano di tutti i limiti attitudinali, cozzanti contro l'ipotesi stessa.

note: La sperimentazione del caso Jenny si è rivelata quantomeno frustrante, sia per la difficoltà nel reperire un soggetto V.E.C.C.H.I.O. ma collaborativo(che indicheremmo con la sigla V.E.C.C.C.H.I.O.) che per la frustrazione conseguente lo svolgimento dell'esperimento stesso, frustrazione che ha spinto chi scrive ad adoperarsi in questo missio scientifica nel vano tentativo di trovare una soluzione a questo inquietante dilemma.

mercoledì 18 giugno 2008

Alta fedeltà (Valefree)

Sulle orme di M.P. prima e McBinda poi, volevo anch'io proporvi la mia alta fedeltà.

Dischi:
Marlene Kuntz - Che cosa vedi
Arwen - Memories of a dream
Dvorak - Dal nuovo mondo. Sinfonia n. 9

Film:
F. Darabont - Le ali della libertà
M. Rocco - Alcatraz, l'isola dell'ingiustizia
E. Bress - The butterfly Effect

Libri:
J.R.R. Tolkien - Il signore degli anelli
W. Smith - Il destino del leone
H. Boll - Opinioni di un clown

mercoledì 11 giugno 2008

Cortometraggio

Riprendo l'idea di M.P....anche se le mie fonti di ispirazione(le quali probabilmente si staranno rigirando nella tomba o nel letto)sono sicuramente più umili...


La musica delle chitarre riempiva l'aria della sera di giugno, fresca ma non troppo. La festa invitava a ballare le coppie ed a bere le gole. Lui sedeva e guardava, attirando l'attenzione delle zanzare più che delle ragazze. Si faceva fresco con le gonne colorate che volteggiavano di fronte a lui e parlava, in silenzio, con le stelle. Quando ormai i bambini dormivano da un bel po' e le donne cominciavano a correre verso casa con passo lento e ondeggiante abbracciate agli uomini, promettendosi passioni con lo sguardo, a lui rimaneva solo il profumo del fiume sotto la piazza. Camminando con passo lento ed ondeggiante, si dannava l'anima pensando all'amore. Lui e l'amore non si parlavano da un po' di tempo, ormai. Ma sotto un lampione gli parve di vedere una gonna, con dentro una donna. Lei camminava con i piedi sul selciato, le scarpe alte ma abbandonate qualche passo indietro. Lui le raccolse, sforzando le anche che lo avevano sorretto, fino a qualche anno fa con invidiabile possenza. Già, era ancora bello. Rialzandosi bestemmiante porse le scarpe all'aria. Ma l'aria non era vuota, come lo era di solito. Era piena di Lei, che ormai distava un braccio da lui. Lei prese le scarpe e con esse la sua mano di uomo per portarsela sui fianchi. E con essa tutto il suo corpo, trascinandolo in un ballo illuminato dal lampione, o dalla luna. Lui decise di chiudere gli occhi. I fianchi gli scricchiolavano ma il rumore più forte usciva dal suo cuore. Lo spettacolo che gli brillava addosso lo riportava ferocemente al sorriso. Quando il lampione si spense, lui era con gli occhi aperti. Rimaneva il profumo del fiume sotto la piazza.

A Giulia

martedì 3 giugno 2008

Echi di battaglia

Raccolgo l'invito di M.P. per dar sfogo alla mia vena fantasy, con un mini poema neo-epico in forma libera

Il mio cuore arde dal desiderio di partecipare

Invece sono relegato nella retroguardia

Troppo giovane per affrontare nemici

Troppo vecchio per restarmene a casa


E così si combatte

Per un regno, un ideale

In realtà è solo una scusa

Che giustifica la guerra


D’improvviso siamo accerchiati

Hanno ragione? Sono nel giusto?

No, sono solo più tattici

E ci stanno massacrando


Hanno sbaragliato le nostre formazioni

Un cuneo si è insinuato

A tagliare ogni via di fuga

A trucidare i loro simili


E finalmente combatto

Ancora adolescente estraggo la spada

Sarò l’orgoglio dei miei padri

Sarò un eroe valoroso


Speranze vane

Che si spengono

Quando un fendente sfortunato

Cala sulla mia testa


E l’ultima cosa che vedo

È il terreno che mi cade addosso

Dove sono ora i miei sogni di gloria?

Non ha mai conosciuto l’amore

Cortometraggio

Stamattina, tra un Lucrezio e un Catullo, ispirato dalle musiche de "L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford" ho scritto questo micro racconto un po' Faulkner e un po' Steinbeck, una sorta di variazione sul solito, caro tema di eros e thanatos. Niente di nuovo, insomma. Sarebbe carino leggerne altri, l'idea di condensare una storia in pochissime righe mi sembra divertente, no?.
A presto,
M.P.

Eliza chiuse gli occhi quando Nicholas glielo chiese.
Sentiva la sua mano scorrergli piano sul viso e sorrise; la luce matura d’agosto sembrava cullarla, così stesa tra l’erba, con i lunghi, neri capelli che fluivano nel prato come fiamme buie. L’aveva portata vicino allo stagno dove si erano incontrati la prima volta, il luogo che aveva visto nascere e crescere il loro sentimento: l’amore improbabile e classico, a suo modo, tra la ricca figlia del latifondista cotoniere e il bracciante girovago. Lei, bella come una rosa selvatica, lui taciturno, buio, un diamante rimasto carbone. Era stata tutt’altro che una pura storia adolescenziale, però: si erano concessi l’uno all’altra senza remore o pudicizia. Era semplicemente la cosa giusta da fare. Adesso Nicholas sarebbe dovuto andare via, il vecchio O’ Day sapeva. A lei non l’aveva ancora detto, di certo la cosa l’avrebbe distrutta, o peggio.
Così bella e acerba, come poteva permettere che il tempo si prendesse la sua bellezza giorno dopo giorno?
Non c’era nulla di più triste che guardare un albero seccarsi.
Eliza era completamente abbandonata alle sue mani, silenziosa. All’improvviso sentì che lui smetteva di carezzarla, rimase un attimo in attesa, poi gli chiese di continuare, per favore, era bello.
Aprì gli occhi, e vide appena le sue mani che stringevano una pietra appuntita, ancora sporca di terriccio.


martedì 27 maggio 2008

Alta fedeltà (Maggio/McBinda)

Visto il periodo di stanca dei poets(me compreso) ho voluto seguire l'esempio del somM.oP. e proporvi(sempre con la speranza di seminare curiosità) la mia alta fedeltà.

Dischi:
Motorpsycho-Little Lucid Moments
Koop-Waltz for Koop(alternative takes)
Jamie Lidell-Jim

Film:
M.Antonioni-L'avventura
R.Polanski-The fearless vampire hunters(per favore non mordermi sul collo)
Todd Haynes-I'm not there(io non sono qui)

Libri:
N.Hornby-Tutto per una ragazza
P.Hoeg-Il senso di Smilla per la neve
I.McEwan-Amsterdam

p.s. se volete aggiungere un commento, mi sollazzerebbe anche sapere chi di voi stà 'nguaiat' con gli esami come me...aggiungete quindi una 'n in fondo al vostro commento...grazie...

martedì 13 maggio 2008

New kid in town

Salve a tutti.

Con poche righe vorrei segnalarVi la nascita di un blog di un mio Vècchio amico su temi di scottante attualità.

Saluti, baci&abbracci

http://matteoghetta.blogspot.com/

martedì 6 maggio 2008

Intermezzo

Ieri, in giornata, è stata divulgata la notizia della morte di Nicola Tommasoli, 29nne disegnatore in un'officina meccanica di Verona, deceduto in seguito al pestaggio di 5 nazi veronesi. I 5 sono stati tutti arrestati, tra il 1 maggio ed oggi. Come molti sapete(questa è cronaca) Tommasoli è stato aggredito per aver rifiutato di offrire una sigaretta ai cinque; costoro sono passati dalle offese verbali alle mani in seguito ai reiterati rifiuti del 29nne, accompagnato da 2 amici.

Il concetto che vorrei esprimere non è legato all'assoluta insensatezza della vicenda; non perchè non sia legittimo e necessario riflettere su questo aspetto: morire pestati da un branco di coglioni...beh..non lo auguro a nessuno. Immagino, inoltre, cosa possa voler dire per i genitori perdere un figlio così. O forse no, non posso realmente immaginarlo, altrimenti non sarei qui a scrivere sulla mia bella sedia.

Ciò su cui volevo riflettere è il fenomeno violenza-criminalità-legalità. Questo trittico nucleare esageratamente polarizzato, negli ultimi anni, verso l'atomo V(iolenza). Il problema, credo, include in sè una gamma piutosto ampia di problematiche: nel nostro caso, i cinque provengono da famiglie borghesi, infoltiscono le file degli ultras della loro città e non si bardano con simboli nazisti, né appiccicano adesivi o toppe sui loro zainetti.

Questo post non vuole essere uno strumento dialettico, non voglio dare particolare risalto alla mia opinione. Non ho badato molto alla forma e non sono nemmeno andato a ricercare particolari strategie espressive.

Ma ditemi una cosa: cosa dovrebbe fare per giustificare un atto del genere un governo che ha tra le sue fila gente che apoggia azioni del genere?(intendo il governo Berlusconi, non si sa mai)

Questo era uno sfogo. Scusatemi; credo tuttavia che un problema così profondo riassuma in sè una serie di profonde mortificazioni per la coscienza del cittadino. Sociali, culturali e morali. Vorrei avere risposte.

sabato 3 maggio 2008

Yes, I Boycott


Non mi ero interessato più di tanto al fatto delle olimpiadi in Cina finchè non sono capitato sul sito di reporters without borders dove ho scoperto (ma forse già lo sapevo) che la Cina è in fondo alla lista dei paesi classificati secondo la libertà della stampa, che imprigiona quotidianamente cyber-dissidenti e giornalisti, che manipola le informazioni, che oscura la rete a suo piacimento, che picchia, tortura, uccide.
Per questo, a mio avviso, l'idea di boicottare la cerimonia di apertura dei giochi lanciata dai reporters andrebbe sostenuta con forza, in quanto intaccherebbe il trionfalismo della manifestazione senza andare a impedire performance sportive che con le violenze del governo cinese poco hanno a che fare.
Credo, comunque, che il problema sia alla base, in quanto trovo quanto meno fuori luogo permettere alla "prigione più grande del mondo" di ospitare un evento che nasce come segno di pace e fratellanza tra popoli; ma tant'è, so che le potenze occidentali sono in debito col paese della muraglia, e dovevano accontentarlo in qualche modo.
Vi prego di visitare il sito e di dare un'occhiata, in modo da potervi fare un'idea della situzione.
Come al solito, scrivetemi cosa ne pensate.
a presto,
M.P.

venerdì 25 aprile 2008

Alta Fedeltà

Bentrovati,
Sorvolo sul commentare i risultati delle elezioni, già fatto dai miei colleghi, per spostare una discussione altrimenti tragica su terreni più frivoli: ispirato da un bel libro di Nick Hornby, ho deciso di propinarvi la classifica dei miei dischi, film e libri preferiti in questo periodo (diciamo pure di questo mese), sperando di poter leggere le vostre.
Disimpegno? Sciocchezza? fate voi, io ho bisogno di distrarre la mente.

Dischi:
Porcupine Tree - Fear of a blank planet
Radiohead - Ok computer
Opeth - Damnation

Film:
Jason Reitman - Juno
Dito Montiel - Guida per riconoscere i tuoi santi
Walter Salles - Abril Despedaçado

Libri
Antonio Lobo Antunes - Buonasera alle cose di quaggiù
Mordecai Richler - La versione di Barney
T.S. Eliot - Il libro dei gatti tuttofare

M.P.

lunedì 14 aprile 2008

Devolutioniamoci...

Bah! Un solo piccolo post per commentare il risultato elettorale di questo M-E-R-A-V-I-G-L-I-O-S-O paese democratico.
Secondo quel che dice il buon Baricco, i barbari sono arrivati, ma non importa, anzi forse è un bene per l'umanità.
Siamo un paese di merda, quindi il Mondo sarà contento della fine della nostra nazione.
Mi sembra giusto così, risparmierò ogni giorno l'euro del giornale, la corrente per la televisione, perché io da oggi vivo in una regione che non è l'Italia, non voglio che sia l'Italia.

domenica 13 aprile 2008

Un trafiletto di Valefree

UNA GIORNATA DI ORDINARIA ELEZIONE
Ovvero
Sfogo pindarico di un frustrato

“…restiamo al dunque, nulla preme. Dopo la morte saprete di che si tratta.” Così diceva un pugno di eternità fa un tale Confucio. Ed è proprio così. Si perché ormai in Italia la politica è un carnevale veneziano su chi le spara più grosse, accompagnato da un rondò veneziano di programmi televisivi che parlano, sparlano, dicono la loro, dicono la tua, menzognano su cose che non capiscono in salsa piccante e reality show.
Ma parlate chiaro, signori politici. Invece di non mantenere promesse su cose che i poveri mortali non capiscono,continuate ad illuderci ma almeno su qualcosa che ci piace. Non so, promettete, ad esempio, più sesso per tutti.
Il sesso a me piace. Non mi piacciono le facce dei politici che ormai sono lì da troppo e tempo e cambiano solo dopo un interventino al naso, una botulinata alle guance, un ritorno di capelli da far invidia al Medy center. Che se parte un punto di sutura ci ritroviamo con un milione di posti di lavoro in più.
Ecco, dicevo, mettiamo in lista più donne, più giovani, più belle che almeno quando ti prendono per i fondelli almeno ti rifai gli occhi.
Meglio una Ilona Staller di uno Stallone Hitler.
E in una bailamme come questa, i TG ci sguazzano coadiuvando con tragedie, tragediole, tragicissime che è una manna dal cielo. Figli uccisi, genitori uccisi, parenti uccisi, cani uccisi, autobus uccisi, incidenti in auto, incidenti in moto, incidenti in scuolabus, incidenti in bicicletta, incidenti in triciclo, incidenti in rollerblade, incidenti sul lavoro.
Lavoro e sicurezza. Ecco un altro tema scottante. Si parla molto di sicurezza sul lavoro, mentre i giovani oggi vogliono sentir parlare di sicurezza del lavoro, anche part-time. Come si fa a mantenere ferrea l’attenzione sul bollettino giornaliero dei caduti del lavoro e non si riesce ad entrare in quel tipo di esercito? E anche qui tra flessibilità, mobilità, cococo, cocopro, cocodè, perepepè, ci si ritrova dopo tre mesi di stage (sana abitudine di trentenni bamboccioni) a casa dei tuoi a lesinare il cibo dai genitori perché il contratto diceva: con possibilità di assunzione… e in fondo piccolo, piccolo, scritto, credo, da un puffo con la mania di non sprecare carta, …ma solo se sei il figlio del capo!
Ebbene signori miei quello che volevo dire è: BUON VOTO A TUTTI.
E se mi denunciano per questa almeno significa che qualcuno mi ha sentito.

lunedì 7 aprile 2008

Confermo la crepuscolarità

Nella sua democritea orizzontalità culturale/umana il buon M.P. seppe additare la crepuscolarità che mai tramonta in me, commentando una piccola cosa che avevo fatto...

E forse, se non proprio di crepuscolarità, confermo dopo un lungo periodo di riflessione che sì: abbiamo a che fare con una componente nocturna eccessivamente sviluppata. "Un po' come i pipistrelli che svolazzano, l'inverno", affermava il conte Von Krolock di fronte ad un Polanski un po' rincoglionito dal freddo della transilvania. Beh la mia crepuscolarità è sicuramente fuori tempo massimo.

Assessori!
Avremmo buone ragioni per protestare!
Ci piace la gente sincera! Anche se praticamente insana di mente!
Credete di fare qualcosa per questo futuro?
Abbiamo stilato, a seguito di un'analisi funzionale della nostra realtà, un bofonchiamento programmatico, redatto e pubblicato sulla gazzetta ufficiale.
Siamo certi che la forma da noi scelta lo renderà più che comprensibile dalla giunta, questa volta.
Oh, insomma. Noi pretendiamo un futuro, dei sentimenti praticamente identici agli originali, una situazione familiare romanticamente accettabile(sia chiaro, il termine "romanticamente" è da intendersi come afferente alla corrente tardo ottocentesca) e qualche DVD. Le sigarette le portiamo noi, il ponte sullo stretto non si fa, le marachelle nemmeno, il pontefice, a seguito di una visita del Dalai Lama, è venuto anche lui quindi aggiungiamo un posto a tavola.
Per il notiziario delle 2:35, Doriana Laraia

E' tutto.

No è mezzo.

sabato 22 marzo 2008

Thick as a Brick

Evidentemente un post di spiegazione delle mie posizioni non è bastato, visto che sono state equivocate di nuovo. Ho già detto che non avrei speso una parola in più su questo argomento, e non lo farò comunque, anche solo per coerenza, qualità che non ho sempre riscontrato nel dibattito provocato (non sono accuse generalizzate, prendetele come tali). Sono contento che una volta tanto si sia accesa una discussione viva, sul serio, e spero che succederà di nuovo, magari tornando al mio argomento prediletto: sana letteratura. Chiudo i miei interventi non con le mie parole, ma con quelle del grande menestrello Ian Anderson, uno che certo non te la mandava a dire.


Really don't mind if you sit this one out.
My words but a whisper -- your deafness a SHOUT.
I may make you feel but I can't make you think.
Your sperm's in the gutter -- your love's in the sink.
So you ride yourselves over the fields and
you make all your animal deals and
your wise men don't know how it feels to be thick as a brick.
[...] And the youngest of the family is moving with authority.
Building castles by the sea, he dares the tardy tide to wash them all aside.
("Thick as a brick part I", Jethro Tull)

venerdì 21 marzo 2008

G8 parte III

Mi inserisco su questa diatriba sui famosi e tristemente noti fatti del G8 di Genova.

Per prima cosa vorrei puntualizzare la mia posizione politica di sinistra, tanto per mettere le cose in chiaro, perché sono decisamente d'accordo con D. (e qui già scatta la stranezza) quando parla dell'autocritica e dell'onestà.

Dunque, penso che i fatti principali siano stati tre: la morte del manifestante Carlo Giuliani, l'assalto alla scuola Diaz e le relative “torture” (spero che M.P. mi passi la virgolettatura) presso la caserma del Bolzaneto.

Ora per prima cosa vorrei ricordare che, se la memoria non mi inganna, l'ordine cronologico di questi avvenimenti sia Giuliani, Diaz, Bolzaneto. Credo sia un aspetto importante.

Beh per quanto riguarda la morte di Carlo Giuliani, credo che a meno di straordinari sconvolgimenti quali la scoperta che in realtà degli UFO abbiano attaccato proprio in quel momento modificando le coordinate dello spazio-tempo (cosa che peraltro qualche rapporto delle forze dell'ordine potrebbe cercare di farci credere), dicevo la morte di Carlo Giuliani possa essere tranquillamente spiegata, con un poliziotto, un giovane poliziotto che non ha retto al peso di un tizio pronto a tirare un estintore. Vogliamo forse dargli anche colpe che non ha?

Forse l'unica colpa che ha quel povero cristo è quella di non aver mirato alle gambe o non aver mirato bene in aria, e vi dirò di più, io non gli darei colpe neanche se avesse mirato a Carlo Giuliani.

Ragazzi su via, è ora di finirla. Io ho una pistola in mano, e lasciamo stare per quanti soldi al mese ho questa pistola in mano, conta solo che ce l'ho e un tizio (un tizio più altri mille) è pronto a farmi del male. Beh cazzo scusate se gli sparo.

Carlo Giuliani quella morte se l'è andata a cercare, non mi pare farlo passare come martire come qualche sostenitore della sua tesi ha cercato di fare.

Ora penso che per andare a parlare dell'assalto alla scuola Diaz bisogni immaginare anche la situazione generale.

Una intera città messa a ferro e fuoco da dei deficienti in nome di non si sa quale idea, forse solo quella di sfogarsi. Un corpo di polizia esasperato e stanco di lavorare per i cittadini onesti.

In questo scenario è ambientata la vicenda della scuola e della sua perquisizione/massacro.

Che poi è un tutt'uno con quello che è successo alla caserma del Bolzaneto.

Allora io sono sicuramente d'accordo con Marco sul fatto che in uno stato democratico non possa esistere la tortura. Non può e non deve esistere. E sono sicuro che sia successo quello che molti, soprattutto con rapporti contraffatti, cercano di nascondere.

Sono sicurissimo di questo e la mia indignazione è pari solo alla schifo che mi fanno queste persone.

Però d'altra parte non posso non pensare alle volte che mi sono trovato a manifestazioni, in special modo quelle studentesche in cui i soliti coglioni partono urlando contro le forze dell'ordine e partono solo per fare del male, dicendo poi che sono state le forze dell'ordine a cercare lo scontro.

“La mamma dei cretini è sempre in cinta” recita un proverbio, ma credo che le mamme siano più d'una e che siano in entrambi gli schieramenti.

Perché esistono poliziotti e carabinieri che si sentono Dio e sono senza mezzi termini dei figli di puttana, ma esistono (e spero e credo siano la maggior parte) padri di famiglia, mariti, figli, che lavorano per il bene comune. Mentre mi riesce molto più difficile credere che nei manifestanti di Genova ci sia stato qualcuno più tranquillo, o per lo meno, il rapporto tra l'uno e l'altro non mi sembra paritario.

Per questo mi pare da stupidi e cretini il tentativo fatto sui commenti da qualcuno di cercare giustificazioni alle torture che evidentemente e senza dubbio ci sono state e che non solo non hanno giustificazioni ma dovrebbe essere punite allo stesso modo, anzi in modo maggioritario (un po' come il fallo di reazione a calcio) perché tu forza dell'ordine sei lì per rappresentare lo Stato e sei lì e devi essere preparato e pronto per quello che stai per fare.

Ma mi pare altrettanto cretino e stupido fare del qualunquismo (e mi spiace M.P. dirti che questa è un po' una tua pecca, senza cattiveria te lo dico) e andare con gli occhi bendati contro tutto e tutti.

Sarebbe bello che chi avesse sbagliato paghi, sia manifestanti (nella quale fazione vorrei precisare credo ci fossero stati molti più sbagli) sia forze dell'ordine. Ma il discorso è sempre quello, la legge è uguale per tutti, ma per qualcuno è più uguale.


Saluti.


Leonardo alias Palo Coelho.

martedì 18 marzo 2008

Una lettera di Valefree

Il buon vecchio Valefree mi ha spedito quest'email riguardo il mio post di ieri sui fatti di Genova (leggetevelo pure, se non l'avete ancora fatto).
Vista l'eleganza generale e la pacatezza del suo tono non potevo lasciarlo senza una risposta.



Ciao M.P.
Ho letto la tua pubblicazione su poets.
Volevo commentare ma credo che sia giusto che quello che penso lo debba leggere tu per primo, perchè sono considerazioni più verso di te che verso l'articolo.
Tu sai quanto ti stimo, ma sai anche quanto questo argomento mi tocchi da vicino.
Volevo solo metterti in guardia dalla pericolosa tentazione di generalizzare. Non esiste una netta demarcazione tra il bene e il male, così come non tutto è bianco o nero. Sono estremamente convinto che quelle accuse siano vere e sono ancor più convinto che chi ha sbagliato deve essere punito. Tieni presente però che le forze dell'ordine sono in prima linea a difesa dei cittadini e, anche se alcunidi loro hanno commesso soprusi, molti altri lavorano onestamente per assicurare la sicurezza alla popolazione.
Non volevo nemmeno tralasciare il fatto che i genitori del ragazzo ucciso al G8 sono diventati entrambi parlamentari e che il giovane carabiniere che l'ha ucciso è stato vittima di troppi incidenti strani, fino a morire perchè la sua macchhi aveva i freni ROTTI. Anche questo è passato sotto silenzio.
Ti mando questa mail per correttezza e per completamento e non per polemica. Come si suol dire, una botta al cerchio e una alla botte (scusa per i luoghi comuni).
Se vuoi, anzi ti invito calorosamente, pubblica questa mia.
Sperando di essere stato il più oggettivo possibile, ti saluto.

Valefree


Probabilmente quel mio giudizio così secco deve averti urtato, e so bene perchè. Ma credo che ci sia stato una fraintendimento leggero tra di noi: per quanto la mia opinione generale delle forze dell'ordine non sia granchè buona (ma CREDO e SPERO, anzi SO che qualcuno che fa il proprio lavoro seriamente c'è ancora), il mio attacco era circoscritto e destinato al manipolo di squadroni della morte posti a guardia dei manifestanti arrestati. Ho detto "cattivi" perchè le opinioni di allora (che certo ricorderai) furono in maggioranza di condanna verso la manifestazione, che fu giudicata violenta, terroristica e quant'altro. Lungi da me generalizzare, sai quanto mi interessino le varie sfaccettature di ogni cosa, quell'aggettivo voleva essere una sorta di risposta a quanti diedero dei violenti ad un gruppo in maggioranza pacifico (togli Giuliani, togli Black Blocks), e lodarono un gruppo in maggioranza violento (come hai potuto leggere, la gente si ricorda di UN carabiniere gentile nell'inferno di bolzaneto).
Spero di essere stato chiaro e di aver "squadernato" dettagliatamente il mio punto di vista, che come vedi non intende condannare in toto e, inoltre, era piuttosto viziato dal disgusto provato a caldo alla lettura dell'articolo.
Grazie per la lettera,
M.P.

lunedì 17 marzo 2008

Viva la democrazia, viva la libertà

Parentesi dolorosa e reale fra i bei lavori di fantasia che solitamente i nostri collaboratori vi offrono. Trattasi di un articolo di Repubblica in cui vengono dettagliatamente descritte le sevizie inflitte ai manifestanti arrestati durante il passato G8 di Genova. Nel caso abbiate ancora dei dubbi su chi siano i cattivi. Vi prego, vi PREGO, leggetevelo e urlate pure quello ne pensate, a me è venuto da vomitare, senza iperboli. Grazie al buon Flavio, che in quanto a battaglie è sempre in prima linea...per fortuna.

Repubblica 17.3.08
La verità sulle violenze al G8 di Genova
Le torture a Bolzaneto e la notte della democrazia
di Giuseppe D'Avanzo

Genova: senza il reato di tortura, pene lievi e prescritte per gli imputati

C´era anche un carabiniere "buono", quel giorno. Molti "prigionieri" lo ricordano. «Giovanissimo». Più o meno ventenne, forse «di leva». Altri l´hanno in mente con qualche anno in più. In tre giorni di «sospensione dei diritti umani», ci sono stati dunque al più due uomini compassionevoli a Bolzaneto, tra decine e decine di poliziotti, carabinieri, guardie di custodia, poliziotti carcerari, generali, ufficiali, vicequestori, medici e infermieri dell´amministrazione penitenziaria. Appena poteva, il carabiniere "buono" diceva ai "prigionieri" di abbassare le braccia, di levare la faccia dal muro, di sedersi. Distribuiva la bottiglia dell´acqua, se ne aveva una a disposizione. Il ristoro durava qualche minuto. Il primo ufficiale di passaggio sgridava con durezza il carabiniere tontolone e di buon cuore, e la tortura dei prigionieri riprendeva. Tortura. Non è una formula impropria o sovrattono. Due anni di processo a Genova hanno documentato – contro i 45 imputati – che cosa è accaduto a Bolzaneto, nella caserma Nino Bixio del reparto mobile della polizia di Stato nei giorni del G8, tra venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001, a 55 "fermati" e 252 arrestati. Uomini e donne. Vecchi e giovani. Ragazzi e ragazze. Un minorenne. Di ogni nazionalità e occupazione; spagnoli, greci, francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi, neozelandesi, tre statunitensi, un lituano.

Oggi la caserma non è più quella di allora: e i "luoghi della vergogna" sono stati cancellati
Manganellate, minacce, insulti, botte e umiliazioni: tutto ricostruito al processo da più di trecento testimoni Episodi documenti, provati
In quei tre giorni poliziotti e carabinieri rinchiusero per ore studenti, operai e professionisti.

Studenti soprattutto e disoccupati, impiegati, operai, ma anche professionisti di ogni genere (un avvocato, un giornalista…). I pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno detto, nella loro requisitoria, che «soltanto un criterio prudenziale» impedisce di parlare di tortura. Certo, «alla tortura si è andato molto vicini», ma l´accusa si è dovuta dichiarare impotente a tradurre in reato e pena le responsabilità che hanno documentato con la testimonianza delle 326 persone ascoltate in aula.
Il reato di tortura in Italia non c´è, non esiste. Il Parlamento non ha trovato mai il tempo - né avvertito il dovere in venti anni - di adeguare il nostro codice al diritto internazionale dei diritti umani, alla Convenzione dell´Onu contro la tortura, ratificata dal nostro Paese nel 1988. Esistono soltanto reatucci d´uso corrente da gettare in faccia agli imputati: l´abuso di ufficio, l´abuso di autorità contro arrestati o detenuti, la violenza privata. Pene dai sei mesi ai tre anni che ricadono nell´indulto (nessuna detenzione, quindi) e colpe che, tra dieci mesi (gennaio 2009), saranno prescritte (i tempi della prescrizione sono determinati con la pena prevista dal reato).
Come una goccia sul vetro, penosamente, le violenze di Bolzaneto scivoleranno via con una sostanziale impunità e, quel che è peggio, possono non lasciare né un segno visibile nel discorso pubblico né, contro i colpevoli, alcun provvedimento delle amministrazioni coinvolte in quella vergogna. Il vuoto legislativo consentirà a tutti di dimenticare che la tortura non è cosa «degli altri», di quelli che pensiamo essere «peggio di noi». Quel "buco" ci permetterà di trascurare che la tortura ci può appartenere. Che - per tre giorni - ci è già appartenuta.
* * *
Nella prima Magna Carta - 1225 - c´era scritto: «Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua indipendenza, messo fuori legge, esiliato, molestato in qualsiasi modo e noi non metteremo mano su di lui se non in virtù di un giudizio dei suoi pari e secondo la legge del paese». Nella nostra Costituzione, 1947, all´articolo 13 si legge: «La libertà personale è inviolabile. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà»
* * *
La caserma di Bolzaneto oggi non è più quella di ieri. Con un´accorta gestione, si sono voluti cancellare i «luoghi della vergogna», modificarne anche gli spazi, aprire le porte alla città, alle autorità cittadine, civili, militari, religiose coltivando l´idea di farne un "Centro della Memoria" a ricordo delle vittime dei soprusi. C´è un campo da gioco nel cortile dove, disposti su due file, i "carcerieri" accompagnavano l´arrivo dei detenuti con sputi, insulti, ceffoni, calci, filastrocche come «Chi è lo Stato? La polizia! Chi è il capo? Mussolini!», cori di «Benvenuti ad Auschwitz». Dov´era il famigerato «ufficio matricole» c´è ora una cappella inaugurata dal cardinale Tarcisio Bertone e nei corridoi, dove nel 2001 risuonavano grida come «Morte agli ebrei!», ha trovato posto una biblioteca intitolata a Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume italiana, ucciso nel campo di concentramento di Dachau per aver salvato la vita a 5000 ebrei.
* * *
Quel giorno, era venerdì 20 luglio, l´ambiente è diverso e il clima di piombo. Dopo il cancello e l´ampio cortile, i prigionieri sono sospinti verso il corpo di fabbrica che ospita la palestra. Ci sono tre o quattro scalini e un corridoio centrale lungo cinquanta metri. È qui il garage Olimpo. Sul corridoio si aprono tre stanze, una sulla sinistra, due sulla destra, un solo bagno. Si è identificati e fotografati. Si è costretti a firmare un prestampato che attesta di non aver voluto chiamare la famiglia, avvertire un avvocato. O il consolato, se stranieri (agli stranieri non si offre la traduzione del testo). A una donna, che protesta e non vuole firmare, è mostrata la foto dei figli. Le viene detto: «Allora, non li vuoi vedere tanto presto…». A un´altra che invoca i suoi diritti, le tagliano ciocche di capelli. Anche H.T. chiede l´avvocato. Minacciano di «tagliarle la gola». M.D. si ritrova di fronte un agente della sua città. Le parla in dialetto. Le chiede dove abita. Le dice: «Vengo a trovarti, sai». Poi, si è accompagnati in infermeria dove i medici devono accertare se i detenuti hanno o meno bisogno di cure ospedaliere. In un angolo si è, prima, perquisiti - gli oggetti strappati via a forza, gettati in terra - e denudati dopo. Nudi, si è costretti a fare delle flessioni «per accertare la presenza di oggetti nelle cavità». Nessuno sa ancora dire quanti sono stati i "prigionieri" di quei tre giorni e i numeri che si raccolgono - 55 "fermati", 252 "arrestati" - sono approssimativi. Meno imprecisi i «tempi di permanenza nella struttura». Dodici ore in media per chi ha avuto la "fortuna" di entrarvi il venerdì. Sabato la prigionia "media" - prima del trasferimento nelle carceri di Alessandria, Pavia, Vercelli, Voghera - è durata venti ore. Diventate trentatré la domenica quando nella notte tra 1.30 e le 3.00 arrivano quelli della Diaz, contrassegnati all´ingresso nel cortile con un segno di pennarello rosso (o verde) sulla guancia.
* * *
È saltato fuori durante il processo che la polizia penitenziaria ha un gergo per definire le «posizioni vessatorie di stazionamento o di attesa». La «posizione del cigno» - in piedi, gambe divaricate, braccia alzate, faccia al muro - è inflitta nel cortile per ore, nel caldo di quei giorni, nell´attesa di poter entrare «alla matricola». Superati gli scalini dell´atrio, bisogna ancora attendere nelle celle e nella palestra con varianti della «posizione» peggiori, se possibile. In ginocchio contro il muro con i polsi ammanettati con laccetti dietro la schiena o nella «posizione della ballerina», in punta di piedi. Nelle celle, tutti sono picchiati. Manganellate ai fianchi. Schiaffi alla testa. La testa spinta contro il muro. Tutti sono insultati: alle donne gridato «entro stasera vi scoperemo tutte»; agli uomini, «sei un gay o un comunista?» Altri sono stati costretti a latrare come cani o ragliare come asini; a urlare: «viva il duce», «viva la polizia penitenziaria». C´è chi viene picchiato con stracci bagnati; chi sui genitali con un salame, mentre steso sulla schiena è costretto a tenere le gambe aperte e in alto: G. ne ricaverà un «trauma testicolare». C´è chi subisce lo spruzzo del gas urticante-asfissiante. Chi patisce lo spappolamento della milza. A.D. arriva nello stanzone con una frattura al piede. Non riesce a stare nella «posizione della ballerina». Lo picchiano con manganello. Gli fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo minacciano «di rompergli anche l´altro piede». Poi, gli innaffiano il viso con gas urticante mentre gli gridano. «Comunista di merda». C´è chi ricorda un ragazzo poliomielitico che implora gli aguzzini di «non picchiarlo sulla gamba buona». I.M.T. lo arrestano alla Diaz. Gli viene messo in testa un berrettino con una falce e un pene al posto del martello. Ogni volta che prova a toglierselo, lo picchiano. B.B. è in piedi. Gli sbattono la testa contro la grata della finestra. Lo denudano. Gli ordinano di fare dieci flessioni e intanto, mentre lo picchiano ancora, un carabiniere gli grida: «Ti piace il manganello, vuoi provarne uno?». S.D. lo percuotono «con strizzate ai testicoli e colpi ai piedi». A.F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano: «Troia, devi fare pompini a tutti», «Ora vi portiamo nei furgoni e vi stupriamo tutte». S.P. viene condotto in un´altra stanza, deserta. Lo costringono a denudarsi. Lo mettono in posizione fetale e, da questa posizione, lo obbligano a fare una trentina di salti mentre due agenti della polizia penitenziaria lo schiaffeggiano. J.H. viene picchiato e insultato con sgambetti e sputi nel corridoio. Alla perquisizione, è costretto a spogliarsi nudo e «a sollevare il pene mostrandolo agli agenti seduti alla scrivania». J.S., lo ustionano con un accendino.
Ogni trasferimento ha la sua «posizione vessatoria di transito», con la testa schiacciata verso il basso, in alcuni casi con la pressione degli agenti sulla testa, o camminando curvi con le mani tese dietro la schiena. Il passaggio nel corridoio è un supplizio, una forca caudina. C´è un doppia fila di divise grigio-verdi e blu. Si viene percossi, minacciati.
In infermeria non va meglio. È in infermeria che avvengono le doppie perquisizioni, una della polizia di Stato, l´altra della polizia penitenziaria. I detenuti sono spogliati. Le donne sono costrette a restare a lungo nude dinanzi a cinque, sei agenti della polizia penitenziaria. Dinanzi a loro, sghignazzanti, si svolgono tutte le operazioni. Umilianti. Ricorda il pubblico ministero: «I piercing venivano rimossi in maniera brutale. Una ragazza è stata costretta a rimuovere il suo piercing vaginale con le mestruazioni dinanzi a quattro, cinque persone». Durante la visita si sprecano le battute offensive, le risate, gli scherni. P.B., operaio di Brescia, lo minacciano di sodomizzazione. Durante la perquisizione gli trovano un preservativo. Gli dicono: «E che te ne fai, tanto i comunisti sono tutti froci». Poi un´agente donna gli si avvicina e gli dice: «È carino però, me lo farei». Le donne, in infermeria, sono costrette a restare nude per un tempo superiore al necessario e obbligate a girare su se stesse per tre o quattro volte. Il peggio avviene nell´unico bagno con cesso alla turca, trasformato in sala di tortura e terrore. La porta del cubicolo è aperta e i prigionieri devono sbrigare i bisogni dinanzi all´accompagnatore. Che sono spesso più d´uno e ne approfittano per "divertirsi" un po´. Umiliano i malcapitati, le malcapitate. Alcune donne hanno bisogno di assorbenti. Per tutta risposta viene lanciata della carta da giornale appallottolata. M., una donna avanti con gli anni, strappa una maglietta, «arrangiandosi così». A.K. ha una mascella rotta. L´accompagnano in bagno. Mentre è accovacciata, la spingono in terra. E.P. viene percossa nel breve tragitto nel corridoio, dalla cella al bagno, dopo che le hanno chiesto «se è incinta». Nel bagno, la insultano («troia», «puttana»), le schiacciano la testa nel cesso, le dicono: «Che bel culo che hai», «Ti piace il manganello». Chi è nello stanzone osserva il ritorno di chi è stato in bagno. Tutti piangono, alcuni hanno ferite che prima non avevano. Molti rinunciano allora a chiedere di poter raggiungere il cesso. Se la fanno sotto, lì, nelle celle, nella palestra. Saranno però picchiati in infermeria perché «puzzano» dinanzi a medici che non muovono un´obiezione. Anche il medico che dirige le operazioni il venerdì è stato «strattonato e spinto». Il giorno dopo, per farsi riconoscere, arriva con il pantalone della mimetica, la maglietta della polizia penitenziaria, la pistola nella cintura, gli anfibi ai piedi, guanti di pelle nera con cui farà poi il suo lavoro liquidando i prigionieri visitati con «questo è pronto per la gabbia». Nel suo lavoro, come gli altri, non indosserà mai il camice bianco. È il medico che organizza una personale collezione di «trofei» con gli oggetti strappati ai "prigionieri": monili, anelli, orecchini, «indumenti particolari». È il medico che deve curare L.K.
A L.K. hanno spruzzato sul viso del gas urticante. Vomita sangue. Sviene. Rinviene sul lettino con la maschera ad ossigeno. Stanno preparando un´iniezione. Chiede: «Che cos´è?». Il medico risponde: «Non ti fidi di me? E allora vai a morire in cella!». G.A. si stava facendo medicare al San Martino le ferite riportate in via Tolemaide quando lo trasferiscono a Bolzaneto. All´arrivo, lo picchiano contro un muretto. Gli agenti sono adrenalinici. Dicono che c´è un carabiniere morto. Un poliziotto gli prende allora la mano. Ne divarica le dita con due mani. Tira. Tira dai due lati. Gli spacca la mano in due «fino all´osso». G.A. sviene. Rinviene in infermeria. Un medico gli ricuce la mano senza anestesia. G. A. ha molto dolore. Chiede «qualcosa». Gli danno uno straccio da mordere. Il medico gli dice di non urlare. Per i pubblici ministeri, «i medici erano consapevoli di quanto stava accadendo, erano in grado di valutare la gravità dei fatti e hanno omesso di intervenire pur potendolo fare, hanno permesso che quel trattamento inumano e degradante continuasse in infermeria».
* * *
Non c´è ancora un esito per questo processo (arriverà alla vigilia dell´estate). La sentenza definirà le responsabilità personali e le pene per chi sarà condannato. I fatti ricostruiti dal dibattimento, però, non sono più controversi. Sono accertati, documentati, provati. E raccontano che, per tre giorni, la nostra democrazia ha superato quella sempre sottile ma indistruttibile linea di confine che protegge la dignità della persona e i suoi diritti. È un´osservazione che già dovrebbe inquietare se non fosse che - ha ragione Marco Revelli a stupirsene - l´indifferenza dell´opinione pubblica, l´apatia del ceto politico, la noncuranza delle amministrazioni pubbliche che si sono macchiate di quei crimini appaiono, se possibile, ancora più minacciose delle torture di Bolzaneto. Possono davvero dimenticare - le istituzioni dello Stato, chi le governa, chi ne è governato - che per settantadue ore, in una caserma diventata lager, il corpo e la «dimensione dell´umano» di 307 uomini e donne sono stati sequestrati, umiliati, violentati? Possiamo davvero far finta di niente e tirare avanti senza un fiato, come se i nostri vizi non fossero ciclici e non si ripetessero sempre «con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l´etica, con l´identica allergia alla coerenza»?

martedì 4 marzo 2008

Ode all'amarezza, D.

Vado a letto sempre tardi, anche quando non vorrei.
Sempre più tardi, per l’esattezza.
Prima, per addormentarmi, leggevo qualche riga. Poi ho scoperto che non mi conveniva, perchè il libro mi rapiva, e le ore si allungavano, anzichè accorciarsi.
Allora ho studiato un modo nuovo... non è che proprio mi concilii il sonno, no, ma è un modo diverso per sfinirmi e farmi spegnere il cervello. L’altro, ho scoperto, è fare l’amore. Ma non è tempo d’amore, questo.
Così ogni notte mi stendo nel mio letto. Spengo la luce sul comodino, mi tiro le coperte fin sopra la testa.
E costruisco.

Si, io costruisco. Edifico, pian piano.
Il soggetto è quasi sempre lo stesso... Nel buio, nel tepore, inizio a mettere in fila i mattoni della mia casetta in riva al mare.
E’ la cosa più privata che ho. La custodisco gelosemente, perchè un po’ me ne vergogno.

Sarà che è un desiderio un po’ retro’, un po’ sessantenne, un po’ Italia anni ‘50.

Da un giovane uomo che ha da poco superato i vent’anni, una cosa del genere non se l’aspetta nessuno. C’è di che scandalizzarsi.
Niente fama, niente gloria. Niente vizi. Niente lussuria, nè gola.
Lasciato solo coi miei desideri, tutto quel che mi viene da fare è costruirmi una casa in riva al mare.

E io la vedo, e costruisco.
Impilo file e file di mattoni. Intonaco, coloro, scelgo tegole, porte, finestre.

Non è che sia sempre tutto uguale.. cambia. Cambiano i colori, una volta qua c’è una finestra una volta no..la casa non è sempre la stessa. Qualche differenza c’è sempre. Però più o meno si somigliano tutte, le mie case in riva al mare.

Mi sento l’esatta metà fra un muratore e un direttore d’orchestra, con la camicia rimboccata sui bicipiti, che costruisco solo muovendo le mani con decisione, neanche stessi dirigendo la Turandot.

Ed è fantastico che io non sia sporco di cemento, è magnifico che il tutto vada a una velocità supersonica e che in men che non si dica la casa sia finita.
E che subito inizi a invecchiare.

Mi fermo solo un attimo appena sento di aver compiuto il lavoro, mi scrollo via due ipotetiche gocce di sudore dalla fronte, e approfitto della pausa per far sbocciare, piano piano, l’ambiente tutto intorno.

Il pino marittimo grande accanto al muro di cinta. La siepe di girasoli piantati in un angolo (qualche volta li vedo belli freschi, qualche volta invece bruciati dal sole). La panchina scura, in ferro battuto, o in legno, più raramente. Quasi sempre appoggiato alla panchina c’è un paniere in vimini, di quelli piccoli, col coperchio. Puzza un po’ di pesce, come se fosse stato lavato e messo lì ad asciugare dopo aver custodito i frutti d’una qualche battuta di pesca.
Ogni tanto il panierino ronza del rumore di una vespa che gli gira intorno.
Ogni tanto c’è una qualche lucertola che striscia sul muro assolato per scaldarsi la pancia.
Ogni tanto non ci sono i girasoli, e al loro posto c’è un cavalluccio di legno tutto mangiato dalla salsedine, che tanto tempo prima dev’essere stato usato da un bambino. O forse due.

Ogni tanto ci sei tu, e questo è un male.

Perchè, quando ci sei, il sonno che sentivo arrivare se ne va del tutto.

T’ho fatto venir fuori, qualche volta, dalla grande porta-finestra che dalla cucina si affaccia al grande patio col pavimento di cotto rosso.
E’ capitato spesso che avessi in mano un piatto con sopra pane e pomodori. Una volta ne ho sentito anche il profumo, l’odore speziato di origano e cipolle.
E una volta ricordo che invece avevi in mano una rivista.
Un’altra ancora stropicciavi un fazzoletto che visto da lontano mi sapeva di umido e salato. Quel giorno per la prima volta m’è sembrato che piangessi.
Mai però t’ho visto con gli occhi allegri. Così dopo un po’ ho smesso di guardarli e ti guardavo i piedi, e li vedevo sempre scalzi, un po’ cotti dal sole.
Quando ho provato a sbirciarti il viso, non ci ho mai visto un sorriso, e lì ho capito.

Quella casa... credo sia mia.
Voglio dire, non ne sono sicuro... ma ogni notte, vedi, io la costruisco. Quindi in qualche modo mi appartiene, è la mia casa.
E’ una cosa stupida, stabilire la proprietà di un sogno, ma mi fa stare bene, mi fa sentire protetto.

Credo anche che quella casa non sia solo mia.
Me lo suggeriscono il cavalluccio di legno, qualche paio di scarpe troppo piccole per i miei piedi appoggiate sul davanzale, e i girasoli che sono curati così bene che le mie mani non ci sarebbero riuscite mai, nemmeno in un sogno.

No, quella cosa non è solo mia.

Quella casa non è tua, perchè tu non ridi.

E io non dormo.

sabato 23 febbraio 2008

Ufologia psichiatrica

Tanto per smentire il mio precedente post, un collaboratore free lance rispondente al nome di O.D. ci ha appena sottoposto questo....



SHINE
di O.D.


Cos’è quella? Una luce, è già mattino? No, sto sognando, sono le due di notte non può essere. Però è così reale, quella luce così bianca che mi viene addosso non è un sogno, riesco a vederla, riesco a “toccarla” come se fosse reale. Mi alzo dal letto e mi avvicino alla finestra. La luce si vede in lontananza e non riesco a capire cos’è. Sono stanco mi rimetto a dormire, chiudo le tende per quella maledetta luce. Non riesco a dormire, la luce penetra anche nelle tende; sento Oscar, il mio cane, che abbaia in continuazione. Scendo e lo faccio entrare. «Cos’è? Oscar, chi c’è?» gli dico, lui continua ad abbagliare senza sosta. Dopo un po’ si calma gli do dei croccantini e si addormenta sul mio letto. Il mattino seguente è come se non fosse successo niente, nessuno dei miei vicini si è accorto di quella luce. Nessuno. Starò diventando pazzo? Forse è quest’aria di campagna che mi fa diventare pazzo, ma il dottore mi ha somministrato questo tipo di medicina. Non so cos’è successo ieri, poteva anche essere un locale in lontananza, non so. Vedremo questa notte.
La cena è servita, sia per me che per Oscar; questa notte, dopo quello che è successo ieri, lo faccio rimanere dentro, non si sa mai. In Tv non c’è mai niente, come al solito, così me ne vado di sopra a letto, a leggere. Non meno di mezz’ora dopo mi addormento come niente. Silenzio totale, Oscar russa peggio di me, questa è una sera perf… Apro gli occhi per un secondo e quel bagliore ricomincia come ieri. Apro le tende e una luce abbaiante entra nelle mia stanza socchiudo gli occhi per mettere a fuoco la situazione. Oltre quella luce di fuori non c’è niente, assolutamente niente, cribbio! Sto impazzendo davvero cos’è questa cazzo di luce?
Mi metto sotto le coperte e penso a cose diverse in modo da far sparire quella luce maledetta, odio la odio! Da sotto le coperte vedo strambe figure che si stanno avvicinando a me, sono esseri mostruosi chiudo gli occhi e penso che tutto questo sia pazzesco, si pazzesco ah ah! Mi alzo dal letto e cerco di comunicare con loro ma niente. Uno di loro mi tende la mano e mi portano fuori con loro. Dopo un po’ mi sveglio.
Cos’è successo? Non lo so non mi ricordo niente. C’erano delle creature orribili in questa stanza, però… Io non mi ricordo. La mia memoria ha come un vuoto, di queste sere passate in campagna non mi ricordo niente. La terza sera, oggi, non sono apparse; forse se ne sono andati, chiunque fossero quelle cose strambe almeno sembra così. Devo riuscire a ricordare qualche cosa di queste, come dire, “visioni” che sono avvenute in questi giorni.
Mi hanno portato con loro queste creature, per farmi ricordare cosa è successo mi hanno esaminato per conoscere l’homo sapiens e le sue debolezze, mi hanno detto cosa dire all’umanità come se io fossi il “capo” del mondo; hanno fatto degli esperimenti e hanno viaggiato nella mia testa. Ora so tutto, e conosco il loro segreto.

John tornò dalla campagna il giorno dopo per andare dal suo psichiatra, per vedere se ci fossero stati miglioramenti.
«Salve John, allora l’aria di campagna ti ha fatto bene? » disse il suo medico, John molto titubante rispose di si e disse che aveva un messaggio da dare all’umanità. «Di che messaggio parli, chi ti ha detto questa cosa? » il dottore lo bombardò di domande ma John rimase immobile come se non gli avesse rivolto alcun quesito. Il dottor, Percy, il suo psichiatra, dopo dieci sedute lo dichiarò pazzo e lo mandò in manicomio.
Dopo due mesi la terra fu travolta da queste creature, che misero in schiavitù tutta la popolazione. Ritrovarono John lo portarono con loro: «Vieni John» gli dissero, «Tu sei stato l’unico a crederci, l’unico ha sapere della nostra esistenza ora tu sei il padrone della terra, sarai incoronato re e sarai il nostro padrone». John li guardò molto sconcertato e gli sorrise. Dopo si avviarono alla navicella e se ne andarono.

Mi sveglio impressionato non sapendo cosa fare, non so neanche che sogno ho fatto, io non mi ricordo nulla, mi ricordo solo di una luce bianca, questo è tutto quello che mi ricordo. Apro le tende e vedo la terra circondata da alieni, mi sorridono e mi dicono:«Vieni John» io li seguo, e poi un vuoto totale nella mia mente.
Ho sognato tutto? Mi sono immaginato tutto? Sono diventato pazzo davvero? Chi lo sa, non so se queste creature sono reali, oppure potrei essere io: loro mi hanno immaginato. Ma forse è stato solo tutto un sogno. Un brutto sogno.

Madovecavolosietefiniti??

Magari qualcuno dei lettori si sarà fatto questa domanda, visti gli scarsi post degli ultimi tempi.
Ci scusiamo con tutti loro, ma purtroppo la totalità dei redattori del cabo sono studenti universitari...e come qualcuno di voi saprà questo è un periodaccio per noialtri, che passiamo da esame ad esame attraverso nottate in bianco innaffiate di caffè forte, momenti di crisi interiore vagamente socratici (so di non sapere), patetiche crisi di pianto e maldestri tentativi di suicidio. Promettiamo solennemente, dall'alto della malsicura sedia che facciamo dondolare nella speranza di rimanere impiccati alla tenda della doccia, che finita la sessione invernale (detta anche "il lungo inverno", "generale inverno", "punto di non ritorno" etc.) torneremo a riempire i vuoti lasciati di recente. Grazie per la pazienza...e augurateci in bocca al lupo, per piacere, che ne abbiamo tutti un disperato bisogno....

giovedì 21 febbraio 2008

KoreaFilmFest

Bah...già che ci sono, lo faccio ora.

Paparapa. Sono lieto, per il secondo anno consecutivo, di invitarvi ufficialmente alla sesta edizione del Korea Film Festival...ALT FERMATE TUTTO!!! Mi sono sbagliato...intendevo il SAMSUNG Korea Film Festival. La precisazione è obbligatoria. Non potete immaginare che spasso sia vedersi le conferenze a Palazzo Vecchio durante le quali l'assessore Giani(responsabile, fra le altre cariche, delle relazioni internazionali)conclamava:

-" sono orgoglioso di poter rappresentare il comune di Firenze in questo scambio culturale tra la Corea e la nostra città. Grazie al Korea Film Fest..."
-"EHEHEhm"
-"Sì, cioè, volevo dire, grazie al SAMSUNG Korea Film Fest..."

etc.etc.etc.

baggianate a parte...visto che ci sono diversi filmofili, cinefili e divoratori di bobine incalliti tra voi, vorrei caldamente invitarvi a scoprire l'universo del cinema coreano, anche attraverso questa iniziativa.

Io lavorerò per il festival e vi sarò presente durante l'intera sua durata. Ci terrei a precisare, tuttavia, che a me non entra il becco di un tallero se vengono 10, 100 o 126 persone in più...io sono duro e puro.

Se, dunque(mi rendo conto che sarà logisticamente improbabile) vorrete deliziare me e la coreanità con la vostra presenza sarò ben felice di offrirvi ospitalità nella mia residenza fiorentina, e di facilitarvi l'ingresso al festival stesso. Tutte le informazioni riguardanti il programma e la location le trovate sul sito linkato sopra.

Il trovarmi a contatto con una realtà cinematografica così radicalmente diversa dalla nostra mi ha permesso di apprezzare la produzione culturale di questo lontanissimo paese. Il movimento cinematografico coreano, a mio vedere, è degnissimo di rispetto; sicuramente non inferiore al nostro se non addirittura superiore, per quel che riguarda la prondità espressiva ed il discorso sul genere, almeno nella produzione di massa e nel mainstream.

Essendo l'unico festival ufficiale per il cinema coreano in Italia, il KFF propone serate monografiche sui principali cineasti della repubblica sudcoreana con susseguenti incontri con gli stessi.

Vi rimando ancora al sito ufficiale, nella speranza che si possa discutere tutti insieme della faccenda, magari a casa mia...anche se rimarrà solo un sogno, grazie per aver letto...

work in regress

Siamo tutti molto impegnati, vedo...io faccio visita tutti i giorni al Cabo...spero di poter trovare il tempo per tornare a scrivere quanto prima...il mio racconto per il contest è quasi finito...mi ci è voluto un po'...

ma d'altra parte la vita è così...come una battaglia navale...

un giorno ci sei e quello dopo effe quattro...

giovedì 14 febbraio 2008

dalla penna di D: milaMo

Se parlo di te, quel che posso dire è che dai un senso ai sensi.

La vista, per esempio.

Dopo di te, la si rivaluta.

Ci si trova costretti a riconsiderarla, e si rischia di cadere in una tragica empasse nel dover scegliere se ringraziarla, per aver catturato la tua immagine, o se maledirla e sperare che in un solo istante le luci si spengano, per sempre, per sempre tenendo te, il tuo viso, i tuoi occhi, come ultimo\eterno fotogramma.

Fermo immagine. Tu.

L’udito... l’udito perde la pace del silenzio, quando fa i conti con la tua voce (bassa, sensuale...parla per te una pantera arrotolata nella tua gola, che fa le fusa al bianco dei denti scambiandoli per spicchi di luna).

Il tatto e il gusto s’abbracciano, disperati per non aver saggiato, di te, sapore e pelle.

L’olfatto si sbatte, prende a pugni gli odori nel mucchio finchè non trova il tuo, e a quel punto lo cerca, saltando i chilometri, s’illude di rintracciarlo nell’afrore di altri corpi, in altre braccia che non sono tue, in un collo che non abbia la stessa linea perfetta e disarmante.

Se “senso” e “sensuale” hanno, anche solo linguisticamente se non ontologicamente, una comune radice, è in te che la vedo ( e non è, vederla, frutto d’un senso a sua volta?).

Cerco nel Senso, ancora lui, di poche righe scritte a mente quasi fredda, una traccia che ti ritrovi o mi condanni a non trovarmi.

Se tu sei Perdersi, possa io non trovarmi mai più.

Dico “perdermi” e vorrei dirti “prendimi”. Le lettere sono più o meno le stesse.

Sono le azioni, quelle si, ad essere diverse.

Prendimi.

(D, x P.)

mercoledì 6 febbraio 2008

Brodo di pollo Blues

Ci rende sempre felici vedere qualche altro aspirante scribacchino che decide di collaborare con questa nostra crociata d'inchiostro, perciò introduciamo di gusto al vasto(?) pubblico del cabo una piccola e graziosa opera del famigerato D. -il cui nome è "svelato" nel raconto qui sotto- che ha recentemente partecipato all'acceso (per usare un eufemismo) dibattito scatenato dalle nostre ultime pubblicazioni.
Che dire di più? Accenno solo che lo scritto è una riuscita sintesi del Kipling di "If" e dell'ultima produzione Bukowskiana (chissà cosa vi sarà venuto in mente...).
Fateci sapere cosa ne pensate, da parte mia il giudizio è sotteso, avendolo pubblicato e prefazionato a dovere...



Brodo di pollo Blues

(ovvero Monologo al figlio che avrò)



di Danilo Cipollini

A P. , che sperò sarà la madre dei miei figli.



Te lo dico da quando sei nato e tu continui a non capire... Prova a farne tesoro, da adesso in poi: nella vita, diffida di tutto quel che è cotto.

Voglio dire....
Nasci e sei NIENTE. Uno sputo di molecole piccole così. Un mucchietto di carne. E già dall'inizio la vita ci divide in due grandi gruppi: i fortunati che si attaccano alla tetta materna e ne suggono latte (crudo), e quegli sfigati che si beccano il biberon.
Biberon, attrezzo infernale. Vieni incoraggiato ad assumere una polvere bianca che si scioglie nell'acqua. Gustati il momento, ragazzo, perchè sarà l'unica polvere bianca che sarai incoraggiato a assumere in vita tua. E quella polvere bianca secondo loro è latte. E, magari, in origine lo era anche. Ma è stato pastorizzato, sobollito, analizzato, disidratato, liofilizzato, impacchettato. Di latte, ormai, ha solo le sembianze.
E' talmente falso, talmente infido, che te lo danno da un affare di caucciù fatto a forma di tetta. Ora...non sarà l'ultima volta in vita tua che tratterai con una tetta di plastica. Però, da bambino come da adulto, se vuoi un consiglio opta per il naturale.

Cresci un po'..arriva il momento delle pappine. Gli OMOGENEIZZATI. Ovvero una crema che SA di trota... ma NON E', trota. Sa di manzo, ma non lo è. Sa di bucatini alla amatriciana, ma in realtà rappresenta la mela.
Sostanzialmente, un omogeneizzato è un'astrazione, un'idea lontana di qualche cibo solido che è stato cotto e ricotto al punto tale di averne livellato il sapore. Tutte quelle creme hanno lo stesso odore, sapore, colore. Sono omogenee..da questo il nome. Omogeneizzato. E' questione d'ontologia.

Archivi quella merda giusto in tempo per assaporare (si fa per dire) le prime pastine.
Il
passato di verdura...ovvero verdure cotte, ricotte, stracotte e poi tritate. Un olocausto di verdura, in pratica. Oppure, il brodo di pollo. Ma sgrassato, però. Perchè non basta averlo bollito sedici ore... no, te lo filtrano anche. E te lo sgrassano. E lo condiscono, se sei fortunato, con pezzetti piccoli piccoli piccoli di pasta. Le Puntine.Gli Aghi. I Filini...che riuscirai pure ad accettare, non avendo ancora mai assaggiato i Filetti. Il che, presto o tardi, accadrà... Ed è un passo senza ritorno.

Cresci ancora. Si comincia a ragionare, perdìo. Spuntano dentini bianchi e cazzuti. Si tenta il primo approccio con la carne. Finalmente ciccia!
Come ti viene somministrata?
Cotta al punto che ormai è pressochè sfatta. Ti arriva in bocca come arriva in bocca il cibo ai cuccioli di gabbiano: in pratica, già digerito.

Tutto questo per dirti... prima di assaggiare qualcosa di crudo... passano giorni infiniti. E questo sai perchè?

Perchè devi avere le palle, per accettare il Crudo.

Devi essere forte, e corrazzato.
Il Crudo è una scelta di vita. E' impegnativo, è stancante, però è l'unica cosa vera che ci sia.
Se il pesce non è buono sai che si fa? Lo si stracuoce, così perde identita e chi se ne accorge?
La carne..quando è rossa, al sangue, quasi cruda, è perfetta. Se la cuoci, diventa dura.
E non c'è niente di meglio della pasta fatta in casa quando la rubi, cruda, dal tavolo da lavoro della nonna. E, comunque, anche cotta è meglio "al dente".

Crudo nella vita dev'essere una scelta.

Scegli crude le emozioni, e diffida di chi te le stracuoce. Di chi te le da omogeneizzate. Di chi te le allunga nel brodo, magari fatte a pezzettini.

Scegli crudi gli amici, che certi schiaffoni ti tengono in vita. Guai se non avrai nessuno a darteli nel momento giusto, perchè rischi di andartene. Da solo.
Scegliti crude le donne, che è meglio una cruda verità che dieci dolcissime bugie. Meglio sentirsi dire "Mi sento lontana da te" e dover masticare crudo, che sentirsi sfornare una sequela di Ti amo bolliti da una donna che ormai appartiene a un altro.

...Ma insomma mi hai capito?

Come dici?

..."GUH"'?

Solo Guh?

...bah, ti salvi che hai solo 8 mesi.

Cambiamo 'sto pannolino, và...



mercoledì 30 gennaio 2008

Parola di Cavaliere...



Eravamo così indaffarati a non far niente che è uscita fuori questa roba qua. Non è situabile in un preciso momento storico, nel caso ve lo stiate chiedendo. Ah, e non è neanche un cavallo quello...

lunedì 28 gennaio 2008

Jazz (racconto subconscio)

C’era una luce fioca giallo/verde

Spenta?

Fioca giallo, verde e giallo veloce mentre il mare lambiva i cadaveri rumorosi della spiaggia.

Splash

Così sottile che quasi non ci facevi caso nel buio tra le luci spente giallo verde verde

Giallo.

C’era una mezza bottiglia e un uomo volgare, inadatto a tener cristalli, col sorriso da

(pagliaccio)

Spaventapasseri, che mi metteva a disagio e mia madre(che da giovane era stata bella) teneva una sigaretta spenta in quasi tutte le foto chiuse nel cassetto sul quale mi arrampicavo da piccolo, per vedere come era stato il mondo prima di me

Uguale

Era come quello che conoscevo solo più ruvido e sbiadito, liquido nelle pellicole che facevo scorrere tra le mani.

Misolidia

C’era una tromba polverosa, appoggiata in un angolo, piccolo vaso luminoso morbido che qualche ospite occasionale teneva tra le mani e faceva

Rumore

Suonare debolmente, così che non rimasi mai pienamente soddisfatto. Luce di sabbia che riflette sulla pagina scricchiolante come le sue metalliche giunture, forse stanche di muoversi che chiudono il

Fluire

Risuonano di moneta i fumosi pensieri chiusi in foto ricordo per nulla.

M.P.