giovedì 28 maggio 2009

gratto il randagio

rivivo
paure
d'infanzia
rivivo
paure
d'infanzia
paure
rivivo
d'infanzia
paure
rivivo
paure.

Cene a base di piatti di plastica,
baciando ceffoni redentori.
Collusione con il proprio ego:
era l'unico, gravissimo reato
che non ci saremmo mai potuti perdonare.
Eppure, seduti dalla parte sbagliata della vita
e della classe
lasciamo che le onde del destino
ci lavino via i nostri peccati.
Sovrappensiero, sui banchi di scuola, pensavamo alla prossima spiaggia, della prossima estate.
Sovrappensiero, sui grandi banchi della vita, penseremo all'ultima spiaggia, dell'ultima estate.

a coloro che, pur sapendolo, hanno deciso comunque di essere importanti per me.

mercoledì 29 aprile 2009

tre brutte poesie scritte sulla sabbia

Gatto randagio tra cristalli
ragiona di morte
e pagine strappate
perfetto ad ogni passo
felpato posato rapido
rugginoso come un vecchio orologio sonnolento
lancette addormentate dal tempo, ore su ore
riposte senza cura
dietro gli occhi chiusi.



Lenta figura affamata di gemiti, io ti desidero più di tutto,
scivolo tra le tue gambe attento a non farti male
urla per me!
fatti sentire in ogni stanza di questo appartamento,
riempi coi tuoi lamenti gli angoli pieni di polvere & tabacco vecchio,
lascia che ascoltino
lasciali a parlare
pure non capirebbero nulla mentre stendi le dita ad afferrare
il vuoto sognato ma fisico e imponente
nelle misere vesti d'aria tiepida, pronte ad abbandonarti
attraverso la finestra schiusa
a rincorrere gli autobus
tra gli alberi fioriti giù in strada.

A leonardo,ubriaco una notte di Dicembre
Le ragazze vogliono essere belle alle feste
e quando il fumo le circonda sorridono amorevoli
nella penombra,
occhi che celano un segreto dimenticato da millenni.
Forse giace in fondo al mare
con il vecchio cuore
dell'innamorato ubriaco
che urla sotto ogni finestra
e neanche un'anima
che risponda.

mercoledì 4 marzo 2009

UNA STORIA DI UN MORTO E DI UN INNAMORATO

La mano svaniva e ricompariva nell’asfalto duro e nero. Doveva essere abbastanza ridicolo in quella posizione. Gattoni lì all’angolo della strada. E vestito in giacca e cravatta per giunta.
Emise una risata, di quelle dure, come se dovesse rompere il ghiaccio, o terminare un silenzio imbarazzato.
Ma tutto non face altro che fargli tornare il vomito. Quante ne aveva bevute? La sua mente gli ricordava tre rum, quattro whiskey e svariate birre, ma era sicuro che aveva più volte sviato l’occhio vigile del suo io bevendone qualcuna di nascosto, magari girando lo sguardo verso quella spogliarellista e l’altra bella bionda al balcone, occupando così le meningi con ben altri pensieri e spostando il sangue verso zone più a valle per togliere nutrimento al cervello.
Cercò di rialzarsi, appoggiandosi e aiutandosi con il muro accanto a lui. “Marianne ti amo”.
La mano però non fece presa e scivolò di nuovo sul pavimento questa volta però con la schiena sul marciapiede e la pancia verso le stelle. Rise di nuovo, questa volta di gusto. Strisciò fino ad un lampione e qui riuscì a conquistare la postura eretta. Ora tutto sembrava più normale, anche se tremendamente lontano. La sua stessa mano sembrava poter raggiungere traguardi distanti, quasi non la riconosceva, così attaccata a quel braccio così lungo. “Marianne ti amo”.
Prese coraggio e cercò di muoversi per raggiungere quello che sembrava una cabina telefonica, e in effetti lo era. Cercò di fingersi capace di camminare tranquillamente, e si improvvisò equilibrista impettito, voleva dare a chi lo avesse visto (eventualità in realtà remota vista la strada ormai deserta) l’immagine del perfetto gentleman.
Dovevate esserci. Immaginate un completo ubriaco, (“Marianne ti amo”) che cerca di reggersi in piedi immedesimandosi in una parte non appartenente neanche alla sua sobrietà. Un frankestein improvvisato. Entrò nella cabina tirando un sospiro di sollievo, finalmente poteva di nuovo appoggiarsi. “Marianne ti amo”.
Cerco di ricomporre i proprio pensieri. Non poteva, li vedeva lì accanto a lui, sparsi come frammenti di un vaso caduto a terra. Si fece largo tra di essi e cercò di telefonare.
“Marianne di amo”.
Ricordarsi il numero non fu così difficile, in fin dei conti era scritto là.
“Salve, ho appena ucciso mia moglie”
“Si, potete trovarla a casa sul suo letto”
“Si, vi aspetto qui”
Uscì e si sedette su un gradino di un piano rialzato. Sullo sfondo sirene e aurore.
“Marianne ti amo”.

venerdì 30 gennaio 2009

Cosmogonia

Una luce,solitaria,nel buio, costituisce la vana, pietosa opposizione alla disperazione. L'aura debole e tiepida ne delinea l'inutilità. Due luci nella notte, invece, formano già una città. Un pirotecnico, ammaliante spettacolo, carico di tutte le intricate storie di Broadway. Un vivido, variopinto insieme di macchie colorate, edifica a sua volta affascinanti architetture, che noi ammiriamo per estensione, fatte di ombre pluriprospettiche; la nostra ammirazione, come dicevo, si liquefà mentre dipaniamo lo sguardo per le infinite vie di New York, saldamente legato, tuttavia, alla nostra sterile cultura, la quale sa unicamente reggersi su parole come minimum fax ed internet. Mezza giornata di libertà per le membra. Tutta la nostra percettività è focalizzata sulla visione. Quasi ci bruciano gli occhi per la immensa quantità di cose che possiamo vedere. E lentamente, la nostra bocca si avvicina furtiva alle nostre stesse orecchie, e comincia a narrar loro favole biografiche che già conosciamo. Ma se la nostra bocca è così piena di queste mitiche, bellissime parole, come potremo mai convincerla a smettere o,quantomeno, semplicemente dirle di cambiare discorso? La nostra bocca, piena di nostri discorsi, non sa far altro che convincerci della bellezza delle proprie parole. Assuefacendoci al dedalo, apprendiamo così dalla nostra stessa conoscenza di pelle avvizzita con il passare degli anni, delle sigarette, delle bottiglie e delle droghe. Finalmente il dopoguerra cominciava a farsi interessante per centinaia di divinità della musica. Forse dovremmo ringraziare l'eroina per dare quello struggente tocco in più alla nostra storia musicale, la quale avrebbe rischiato di ridursi a birra ed ottime salsicce. Ed eccoci a figurarci Sonny Rollins, quel figlio di puttana sopravvissuto grazie allo zen ed a quel suo culo. Ben altre storie rimanevano incrostate ai sedili posteriori dei cab di NYCity.
A solleticare le nostre iridi, inoltre, arrivano anche i fenomeni di polarità, di irradiazione sfalsata, di asimmetria luminosa. Cosa c'è di più vivo di più luci che si accapigliano, come sfavillanti lottatori si misurano, con in mente ben impresso il patto di Tindaro. E se ne ammirano i muscoli, contratti da scariche elettriche furenti, da nervi e tendini montati alla rinfusa su di organismi perfetti da questo o quel dio con la “d” minuscola. Sangue che si mescola ad altro sangue, quasi un atto pittorico dentro il quadro stesso, a volerne ricercare la giusta mistura, nella creazione di un nuovo imperituro colore.

mercoledì 21 gennaio 2009

A night of thousand

Stars will never bleed of our nights
They know how a man and a woman
Wear a morning secret
Two questions to universe

martedì 16 dicembre 2008

Mancanza/What it takes

Cercherei ciò che mi manca, tra muscoli e rottami,
avremmo bisogno di libri più facili, canzoni più belle,
mi vedo positivo, in un negativo,
la foto di un futuro più interessante
di un presente troppo attivo,
Come avrei bisogno di una ciocca di capelli di quella violoncellista di spalle
sull'autobus,
per far giocare quel gatto schizoide che è la tristezza,
lasciarlo correre a lasciare le sue pisciate per i corridoi di un palazzo
cattivo,
(la carta taglia molto a fondo e fa male,
ma non quanto le parole)

Un disegnatore talentuoso ed indeciso non sa quale forma scegliere per il suo prossimo
fumetto: sono tutte troppo tristi o troppo allegre.
Ma un fumetto non è la vita.
In un fumetto si può essere veramente felici,
o sempre tristi.
(per lui il successo è dietro l'angolo, gli basterà non pensare alla vita per un attimo)

Ma tu per favore non andartene
non andartene
non andartene mai

a Giulia

domenica 7 dicembre 2008

Real State

Nervous performance tonite
Inspiration splintered in nerves
(forget AND concentrate)...
Revolution and questionable order
(electric impression)
Broken judges like spectators
Sitting magnetically
(powerless)

giovedì 4 dicembre 2008

Eternità

“Gira, gira!!!!!”

Niente, non feci in tempo, la macchina sfondò il guardrail e precipitò.

Ricordo quell’istante. Mi girai verso lei, i suoi occhi non erano mai stati più belli di allora.

La paura li aveva spalancati così che potessero mostrare tutto il loro nero. Sembravano enormi.

E le sue guance contratte, quasi spasmodiche, ferme in quell’urlo.

Avevano un qualcosa di eccitante, di così primitivo, un riflesso nato ancor prima della propria idea.

Mostrava i denti. Bianchi, perfetti.

È qui nella mia testa, come una fotografia a colori.

Non mi accorsi subito, ma la sua mano si stava posando sulla mia, sulla leva del cambio.

Si ricordo tutto. Dal finestrino aperto entrava aria fresca; era agosto, ne avevamo bisogno.

Ricordo di aver visto i miei occhiali partire, cadere, forse sotto il cruscotto.

Le sue unghie inficcarsi decise nella mia pelle. Proprio qui dove ancora il tempo non ha portato via il segno.

Avrei voluto abbracciarla, dirle di stare calma, che qualcuno ora ci avrebbe preso e portato di nuovo sulla strada, ma pensai come fosse inutile perdere quel poco tempo a dire bugie.

E allora dissi: “Sei mia!”, che non era una bugia, perché era quello che sentivo. La sentivo mia.

Sembrò così stupido, ma bello. Lei si girò e mi parve che la sua espressione si addolcì, anzi ne sono sicuro, un sorriso le comparì in volto.

O forse era solo un altro spasmo, ma mi piace pensare che fosse un sorriso.

Mi ricordo anche il suo profumo, e non so perché in quell’istante la macchina ne era piena.

Un tipico odore di frutta, di quello che le donne usano nei mesi estivi, eppure sembrava tutt’altro.

Non so spiegarlo, ma se non avevo paura era anche per colpa di quell’odore.

Lo sento ancora se chiudo gli occhi, e continuo a non aver paura.

Riesco addirittura a vederlo se chiudi gli occhi. È un cerchio. Bellissimo, perfetto.

Ricordo di essermi girato a guardare dietro, c’era la rosa che le avevo portato, sul sedile posteriore.

Ricordo come mi rammaricai di non poterla mettere in vaso, a casa, vederla appassire ogni giorno di più, e prendermi gioco di lei, perché il tempo non l’aveva resa eterna, come invece sarei stato io, fermo in quell’estasi suprema che è guardare la donna che ami, vivere.

Non sarei invecchiato, no, impossibile, mi sarei solo adeguato al suo cambiamento, per continuare a starle vicino.

Cosa è questa cosa sulla mano? Ah già, il suo graffio, ancora sanguina.

Deve aver avuto tanta paura. Eppure rideva, si ne sono certo.

Non avrei mai permesso che smettesse di ridere, quindi sono certo che ridesse. Forse anche lei pensava alla rosa, rideva di lei.

Chiudi di nuovo gli occhi e quel cerchio mi si ripropone davanti. È così bello. Al centro c’è quella foto, come una cornice fatta di inconsistenza.

Ricordo la musica, non mi ricordo cosa, ma ricordo che c’era la musica. Ricordo che canticchiavamo, non mi ricordo cosa, ma cantavamo.

Si cantavamo, ora lo so, era per quello che avevo perso il controllo, perché ad un tratto la guardai.

Ricordo c’era qualcosa che mi incuriosì, forse un piccolo particolare che non avevo mai notato. O qualcosa di diverso, un orecchino forse?

Poi tornai a guardare la strada, anche se non si può dire che tornai a guardarla, l’unica cosa che feci fu cercarla, perché non c’era più.

C’era solo blu che entrava dal parabrezza. E ricordo come fece male quel colore così forte.

Forse fu per quello che cercai gli occhiali, si deve essere così.

Tutte queste cose sono ancora qua nella mia testa, la rosa, la mano, gli occhiali, il blu e se chiudo gli occhi quel cerchio di profumo.

E se li apro ci sono solo queste persone che non conosco, ora si che ho paura.

Poi la vedo, davanti a me sul selciato c’è quella rosa prima distesa dietro.

Ora è lei a ridere. Ride di me?

La sento la paura, vorrei urlare ma non posso, scappare ma non riesco, allora mi rifugio nell’unico posto che sento amico.

Chiudo gli occhi.

L’eternità.

venerdì 21 novembre 2008

Disgusting blood machine,
selling narcotics and delirium.
Dead bourbon: my sleepy judge;
metal stomach mixed with tenuous tape-recorders

venerdì 31 ottobre 2008

Se questo è un uomo

Rileggendo le opere di Primo Levi mi sono apparse sotto gli occhi un paio di riflessioni che vorrei condividere con voi.

1. I Lager nazisti sono stati l'apice, il coronamento del fascismo in Europa, la sua manifestazione più mostruosa; ma il fascismo c'era prima di Hitler e Mussolini, ed è sopravvisuto, in forme palesi o mascherate, alla sonfitta della seconda guerra mondiale. In tutte le parti del mondo, là dove si comincia col negare le libertà fondamentali dell'uomo, e l'uguaglianza fra gli uomini, si và verso il sistema concentrazionario, ed è questa una strada su cui è difficile fermarsi.

2.Occore dunque essere diffidenti con chi cerca di convicerci con strumenti diversi dalla ragione, ossia con i capi carismatici: dobbiamo essere cauti nel delegare ad altri il nostro giudizio e la nostra volontà. Poiché è difficile distinguere i profeti veri dai falsi, è bene avere in sospetto tutti i profeti; è meglio rinunciare alle verità rivelate, anche se ci esaltano per la loro semplicita e il loro splendore, anche se le troviamo comode perché si acquistano gratis. è meglio accontentarsi di altre verità più modeste e meno entusiasmanti, quelle che si conquistano faticosamente, a poco a poco e senza scorciatoie, con lo studio, la discussione e il ragionamento, e che possono essere verificate e dimostrate.

3. "Devo dire che l'esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto... C'è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. Non trovo soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo."


Buona giornata.