giovedì 29 novembre 2007

Le storie finiscono, le storie ricominciano...

Senza ripetere le parole già spese da M.P. riguardo al contest appena concluso, vorrei invitare il Cabo a prepararsi per la seconda mannata (che belle parole...)

Chi già è dei nostri basta che commenti questo post inserendo una parola di sua scelta.

Chi non è dei nostri può sempre diventarlo. Commentate inserendo un contatto (msn, email, ecc...)



Intanto io comincio. La mia parola è...
"Palude"

Four words literary contest: The End

E voilà.
Fatto.
I nostri racconti vi sono stati presentati. Vi siete letti una storia di "fantasmi", un noir, una simil piéce teatrale vagamente beckettiana e una lettera d'amoroso addio... direi che potete ritenervi soddisfatti, no? Ringraziamo tutti coloro che hanno commentato i nostri lavori (un successo così non s'era mai visto, grazie, grazie, grazie!), e vi invitiamo, come sempre, a tornare da noi.
Beh, un po' commossi, vi salutiamo, promettendovi di ritornare presto, però....

Four words literary contest: Tinker Bell

Per Te

Fuori piove.
Tantissimo.
Preferirei di gran lunga essere lì, in mezzo a tutte quelle goccie, piuttosto che rimanere in questa stanza asciutta.
La macchina da scrivere batte ritmicamente. Lettera dopo lettera, nasce il mio addio. Vorrei riuscire a spiegarti il perchè, ma so che il mio cammino verso l'ignoto rimarrà per sempre un'incognita.
Vado via, e ancora sono tentata di bruciare tutto, ignorare questo istinto, tornare accanto a te, e dormire come se nulla mi avesse svegliato, come se fuori non piovesse.
Ma piove.
E non si può ignorare.
Sei sul letto, nuda, qualche lembo che ti copre come fosse un peplo.
Tu regina di un mondo ignoto e parallelo. Ma la realtà è amara, e io non posso far altro che fuggirla.
Una lettera, una lettera scritta con te vicino, scritta su una macchina da scrivere. Solo un ritmico ticchettio, nessun software ronzante.
Volevamo sconvolgere il mondo io e te, riordinarlo a nostro desiderio.
E questo stesso mondo ha ignorato il nostro volere. E ci siamo lasciate annientare dalle sue regole.
Osservo la stanza. E' spoglia.
I vestiti ancora per terra, indistinguibili, crakers aperti e mai mangiati, il posacenere pieno.
La pioggia accompagna il tuo respiro, lieve ed irregolare. Fuggo, vado via, non capirai e le tue lacrime distruggeranno l'inchiostro delle mie parole.
Ma ti lascio i sogni, i miei e i tuoi.
Quegli stessi sogni che abbiamo abbracciato come fossero figli.
Proprio quelli che abbiamo innocentemente ucciso come fossero nemici.
Con loro sono morti tutti i miei pensieri, tutte le sensazioni.
Solo il pensiero di Te rimane.
Nulla lo lede, nemmeno il temporale che, dentro e fuori questa stanza, si è portato via tutto. Tutto ti lascio, tutto quel che mi è appartenuto, che abbiamo reso nostro.
Una buona notte per te che ancora dormi

Irene

Many words literary contest

Helllothere!

Visto che ormai,va bene?, abbiamo preso il via con la produzione letteraria, vorrei porre alla vostra attenzione il fatto che io posso mostrarvi la strada verso il successo. Completamente gratis. Basterà avere

1)una mano con la quale si sia capaci di scrivere su di un qualsiasi supporto, cartaceo o digitale che sia.
2) una discreta padronanza della lingua inglese, tipo "aò stop watching me in that way. Look that I know that you can't suffer me but it's not my guilt if i have this face".
3)basta.

Il fatto: il mio professore di Stylistics and poetry ci ha chiesto di comporre, in qualsivoglia forma, QUALCOSA...racconti brevi,poesie, epitaffi, in rima, endecasillabi sciolti, giambici etc...ovviamente in inglese...per poi essere pubblicati sulla rivista Buzz, a cura di ragazzi e professori della mia università...

allora, vi va?

qualsiasi cosa vi passi per la mente o per gli alluci speditela a

paulmorse@virgilio.it

scrivendo che io(Bernardo Mattioni) vi ho informato della cosa. Ora che sapete anche il mio nome fuori da Matrix, credo che possiate dedicarvi al vostro letterare con maggior piglio.

un saluto

lunedì 26 novembre 2007

Four words literaty contest: Nick Stu

-Cieli-

«Ho quasi finito un altro pacchetto»
«Ne vuoi una?»
«Ne voglio una di cosa?»
«Una sigaretta, mi sembrava...»
«Non fumo»
«Non fumi?»
«Mai fumato»
«Allora che pacchetti finisci?»
«Crackers»
«Crackers
«Si, il dottore dice che mi danno dipendenza»
«Ti danno dipendenza?»
«Significa che se voglio smettere in realtà non posso»
«Lo so cosa significa. Solo che mi sembra strano che i crackers diano dipendenza»
«Ma infatti non è vero. Lo dice il dottore ma non è vero»
«Di solito i dottori dicono cose vere»
«Questo no»
«No?»
«No»

Diede un morso al cracker e le si sedette accanto. La ragazza tirò un altro respiro.
Da lì si vedeva tutta la città. E si confondeva con il cielo. Un cielo grigio come il cemento dei palazzi.

«Dicono che una volta fosse blu»
«Cosa?»
«Il cielo»
«Il cielo blu?»
«Già»
«Doveva essere bello»
«Nei miei racconti il cielo è sempre blu»
«Scrivi racconti?»
«Molti. Vengo quassù per scrivere»
«E con cosa scrivi?»
Il tizio dei crackers infilò una mano nel borsone e ne tirò fuori una macchina per scrivere.
«Cos'è?»
«Una specie di computer. L'ho trovata in un magazzino abbandonato»
«Non ce l'hai un computer normale?»
«No»
«Ce l'hanno tutti un computer. Almeno uno ce l'hanno tutti»
«Io no»
«Come mai?»
«Non mi fido»
«Dei computer?»
«Non mi fido dei software che stanno dentro ai computer»
«E cosa sono?»
«Sono tipo persone» diede un morso al cracker.
«Dentro ai computer ci sono delle persone?»
«No, ci sono i software»
«E perché non ti fidi dei software
«Sono spie»
«Spie?»
«Spie del governo»
«Ma dai...»
«Te lo giuro, me l'ha detto uno che ci lavora»
«Da non crederci...»

Il tizio dei crackers prese a battere sui tasti.

«Cosa scrivi?»
«Un racconto»
«Di che parla?»
«Di noi due»
«E che ne sai tu di me?»
«Ancora niente»

Non parlarono per un po'. Descivere un cielo blu richiedeva una certa concentrazione. La ragazza tirò un altro respiro.

«Tu fumi?» chiese il tizio dei crackers.
«No»
«Allora che ci fai con le sigarette?»
«Fumavo. Poi ho smesso. Ora le offro e basta»
«Hai smesso?»
«Due settimane fa»
«Come mai?»
«Dicono che faccia male»
«E' vero»
«Già. E ci sono tante altre cose che fanno male»
«Tipo?»
«Lo smog»
«Fa male?»
«Una boccata di smog fa più male di una sigaretta intera»
«Incredibile»
«Infatti sto cercando di smettere anche con quello»
«Come fai?»
«Respiro poco»
«Respiri poco?»
«Ne faccio uno ogni sette minuti, un po' meno se parlo. Non è facile, all'inizio non riuscivo a superare il minuto e mezzo. Poi pian piano ci si abitua. Sto cercando di smettere del tutto»
«Credi che si possa fare?»
«Spero di si. Ad ogni respiro sento la polvere che mi scivola nei polmoni» si scrollò di dosso un po' di tristezza, poi chiese «come viene il racconto?»
«Non male. Ho scritto di meglio»
«Ma che ci fai poi con i tuoi racconti? Te li pubblicano?»
«Li lascio in giro. Li raccolgono i barboni»
«Li leggono?»
«Non sanno leggere. Li bruciano quando fa freddo»

Rimasero un po' in silezio. Lui a scrivere senza fermarsi un istante, lei immobile, presa dal rumore saltellante dei tasti. Faceva un respiro ogni quasi otto minuti ormai.
Quando smise del tutto lui quasi non se ne accorse.

domenica 25 novembre 2007

Four words literaty contest: HalfLung

L'ASTRONAUTA


Era un rumore strano.
Quasi un fruscio.
Foglie che cadono in colorati autunni.
Era solo un soffio.
Un respiro a dir la verità.
Il commissario lo guardava con le braccia dritte lungo il corpo.
La macchina che lo aiutava a respirare stava là, accanto al letto.
Erogatore indispensabile di vita. Sembrava quasi, ascoltando in silenzio, di sentire un astronauta camminare sulla Luna.
La stanza era piena dello stesso suono che si sentiva nelle vecchie registrazioni.
Vecchie registrazioni che mostravano la sala di controllo in trepidante ascolto.
Il commissario lo guardava con le braccia dritte lungo il corpo.
Pensò alla notte precedente.
Tutto era successo così in fretta.
Erano le dieci e quaranta, quando alla centrale arrivò una chiamata di una signora allarmata. Aveva sentito uno sparo, uno sparo, uno solo e poi più nulla.
La sirena che sfreccia.
Lo trovarono lì, steso accanto al divano, un foro lo trapassava da parte a parte.
Ed ora eccolo.
Attaccato a quel respiratore.
Che non la smetteva di parlare con la sala controllo.
Un respiro dietro l'altro.
Il commissario lo guardava con le braccia dritte lungo il corpo.
L'appartamento era perfettamente a posto. Nessun segno di colluttazione o lotta.
Nessun segno di scasso sulla porta.
Nei telefilm avrebbero detto che la vittima conosceva l'assassino.
Ma questo non è un telefilm.
È la realtà. La fottuta realtà.
E il destino può essere molto più fantasioso di un abile scrittore.
Nell'appartamento silenzioso solo un rumore.
“Crackers!, crackers, crackers!”
“Polly” diceva la targa sulla gabbietta.
“Crackers!, crackers, crackers!”
Poi non lo aveva più detto, lui stesso aveva premuto il grilletto.
Non lo sopportava più quel cazzo di pappagallo.
Il commissario lo guardava con le braccia dritte lungo il corpo.
I suoi uomini erano ancora là che cercavano informazioni.
Erano ancora là che facevano domande.
“Addio vecchio mio”, disse.
Il commissario.
Pensava tornando a casa.
Pensava a quanto ci avrebbero messo i suoi a capire che era lui.
Pensava alla corsa che aveva fatto per tornare a casa l'altra sera.
Pensava alla fortuna che aveva avuto, “per un pelo” si disse, a ricevere la telefonata della centrale.
Pensava a quando avrebbe fatto effetto la medicina che aveva iniettato in flebo.
Pensava il commissario.
Pensava.
Il commissario.
Pensava al giorno che la moglie lo aveva lasciato.
Pensava.
Pensava a quel figlio di puttana.
Ora erano pari.
Pensava.
Pensava a quel fottuto pappagallo, regalo della moglie.
Pensava alla moglie.
Ah, quanto l'aveva amata.
Pensava a lei.
Pensava a dove era ora.
Nel suo bagagliaio con la testa spaccata in due.
Pensava il commissario.
Pensava.
Pensava.
Pensava anche se il suo cervello non funzionava più tanto bene.
Non funzionava più tanto bene, offuscato e spaesato.
“Bisogna rifare il software amico!” si disse.
Software.
Software per il cervello.
Era così che chiamava la sua bottiglia di whisky.
Software per il cervello.
Ed ora ne aveva veramente bisogno.
Pensava il commissario.
Pensava attaccato alla bottiglia.
Pensava a quando l'avrebbero cercato a casa.
Pensava alla lettera che avrebbero trovato nella macchina da scrivere.
Pensava.
Pensava ai suoi colleghi.
Avrebbero capito il perché?
Lo avrebbero capito?
Pensava il commissario.
La macchina da scrivere sulla scrivania, l'avrebbero vista?
Quella lettera trovata?
Si lo avrebbero fatto.
Li aveva addestrati bene.
Erano dei bravi ragazzi.
Pensava il commissario.
Pensava alla strada.
Pensava anche se forse stava correndo un po' troppo.
Pensava il commissario.
Pensava alla curva che stava per pararglisi contro.
Pensava il commissario.
Pensava anche mentre la macchina volava giù per la scogliera.
Pensava.
Pensava.
Poi un rumore sordo.
E il silenzio attorno.
Niente, nessun rumore.
Nessun uomo della Luna.
Niente.
Neanche un respiro.

sabato 24 novembre 2007

Four words literary contest: M.P.

Pierrot allo specchio

(una storia di prosaici fantasmi)

“Posso vedere un luna slavata, attraverso la nebbia. […]

Il chiaro di luna ti sta sanguinando dall’anima, lo sai.”

Porcupine Tree, Lazarus

La notte, nera d’inchiostro, rovesciava tempeste di scrosci sulla città.
Era l’ora più buia e silenziosa tra quelle lunari: inzuppata d’acqua fin sopra i pallidi capelli correva e grondava per strade e tetti, rischiarando ogni tanto l’asfalto con sporadiche forchettate di fulmini. Fu in quella notte, al sicuro nell’appartamento ben riscaldato che sentì il respiro.
Sulle prime neanche aprì gli occhi, tanto era imbevuto felicemente nel sonno, ma alla terza o quarta volta il filo sottile che lo teneva legato al placido mondo dell’inconscio si spezzò. S’alzò a sedere sul letto, lento e intontito, aspettando che l’onda del sogno si ritirasse del tutto dai suoi lidi molli, poi tese l’orecchio quel tanto che il periodico rimbombo dei tuoni gli permetteva.
Nulla.
Discretamente seccato per l’interruzione si lasciò cadere sui cuscini, ben intenzionato a riprendere da dove aveva cominciato.
Il respiro fendette l’aria come una lama.
Saltò su, impaurito, ben sveglio stavolta: la stanza era immersa nel buio, solo la luna oscurata dalle nubi dense i pioggia faceva capolino tra le finestre, dando un tocco spettrale all’ambiente; frugò con gli occhi ogni angolo, con le mani strette fino a sbiancarsi sull’orlo stropicciato della trapunta. Gli pareva di udire un altro suono ora, lento e ritmato, altalenante, che si intrecciava in una macabra sinfonia notturna con il respiro, ora chiaramente percepibile: lento, affannoso, insopportabile.
Scese dal letto poggiando prima un piede e poi l’altro sul tappeto, rabbrividendo mentre il calore delle coperte andava disfacendosi nell’aria.
Cercò a tastoni qualcosa sul comodino, probabilmente un qualche tipo di arma, ormai quasi convinto che qualcuno si fosse introdotto nell’appartamento. L’unica cosa che trovò fu un massiccio bastone da passeggio dimenticato lì dall’inquilino precedente, resti d’anime ormai sbiadite nella memoria degli oggetti, lo impugnò come una mazza e s’avviò fuori dalla camera da letto.
Nel corridoio il respiro era perfettamente percepibile, così come l’altro suono, quello che sulle prime non era riuscito a decifrare: era il picchettare ipnotico dei tasti della sua vecchia macchina da scrivere. La rivelazione per poco non lo fece urlare, ma si morse l’interno di una guancia e riuscì a rimanere zitto, in attesa, sospeso tra e idee che gli si affollavano in testa, Chiama la polizia, Scappa via di qui, Affrontalo! Rimani nascosto e può darsi che se ne vada, Torna in camera e chiuditi dentro, Uccidilo, Uccidilo UCCIDILO!
Tornò in sé con uno schiocco di muscoli, deciso a tornarsene indietro e chiamare aiuto.
Proprio quando aveva probabilmente optato per l’alternativa più saggia, un pacchetto di crackers, finito lì per una di quelle terribili coincidenze che fanno credere che la vita possegga uno spaventoso senso dell’umorismo, scricchiolò sotto il cauto piede che si era mosso alla ritirata.
Il respiro si mozzò a mezz’aria, il tictac dei tasti s’interruppe, una scarica di adrenalina, prosaico effetto di un’ondata di terrore, gl’inondò la testa; passi ovattati si muovevano sul parquet del salotto, chiaramente indirizzati all’angolo dietro cui lui era nascosto, tremante e stordito dalla paura.
Strinse le mani forte sul bastone, come a voler prendere il coraggio dai forti nodi del legno, ascoltando quei tonfi così lievi, quasi impercettibili, ma rapidi, innaturalmente rapidi, quasi un continuo mormorio, che si interruppe proprio dall’altro lato del muro d’angolo.
Il silenzio ora era totale, fuori; dentro i suoi timpani erano assordati dall’esplosione del cuore, prodigo di battiti in quel delicato momento. Venne un sospiro lieve lieve, così vicino che avrebbe potuto accarezzargli i capelli, poi un altro, mentre i passi sembravano allontanarsi, di nuovo in direzione del salotto, ancora verso la vecchia macchina da scrivere.
Nel semibuio lunare s’accorse di essere vicino al telefono e una fitta di piacere lo colpì, avrebbe preso il telefono, sarebbe tornato in camera, avrebbe chiamato la polizia, avrebbe aspettato con calma. La semplicità del piano ne decretava il sicuro successo.
Staccò il cordless dalla base ed ebbe subito la conferma del sopraccennato orrendo humor delle cose quando si rese conto che il telefono era andato. Forse un fulmine aveva bruciato il software, forse la batteria era scarica Forse questa non è proprio la mia nottata.
S’alzò lentamente in piedi, pronto a chiudere la storia una volta per tutte: chiuse le mani sul bastone, irrigidì le braccia, tirò un sospiro profondo e svoltò l’angolo di colpo.
Urlò.
Un volto orrendo lo guardava dalla finestra, e gli ci volle un po’ per riconoscervi una luna insolitamente grande e limpida, come mai ne aveva viste fare capolino tra i palazzi simili ad ossa in quella luce infetta. L’intera stanza era pallidamente rischiarata dal plenilunio, la tempesta era finita e la luce bianca si era scavata una via attraverso le nuvole fin dentro il suo appartamento, andando a far brillare proprio la vecchia macchina da scrivere, facendola sembrare sommersa d’acqua limpida e fredda. Un foglio era infilato nei meccanismi.
Si sedette, guardò per un po’ la luna di fronte a lui, grosso specchio polveroso, poi sfilò il foglio e lesse ciò che vi era scritto: tra numerosissime cancellature e riscritture, una sola frase era leggibile; diceva: Vieni con me.
Rimase per un po’ a guardare quel pugno di lettere incerte, sentendosi svuotato.
Andò alla finestra e l’aprì, l’aria fredda gli graffiava le guance.
La luce della luna l’avvolse, densa come la malinconia.
Chiuse gli occhi, sorrise.

Four words literary contest

Salve a tutti voi, evanescenti lettori del Cabo.
Vi si presenta ora un esperimento partorito dalla mente di quattro di noi, e più precisamente il "gioco delle quattro parole", pomposamente rinominato "Four word literary contest". In cosa consiste? Semplice: si prendono quattro individui con velleità letterarie e gli si fa scegliere una parola ciascuno; le quattro parole risultanti dovranno essere inserite in un breve racconto che verrà poi pubblicato su questi lidi informatici di pubblico dominio. Le parole scelte dai partecipanti di questa prima prova sono:
Software
Macchina da scrivere
(o per scrivere)
Respiro
Crackers
Attenzione, però, le quattro parole dovranno essere funzionali al racconto, non semplici controfigure, cosa che rende il tentativo un po' più stuzzicante.
Non sicuri del successo di quest'iniziativa, abbiamo preferito provare in pochi, una specie di test, sperando che la cosa vi interessi e vi spinga a chiederci dell'altro, magari un "five" o "seven words", che sarebbe sicuramente più intrigante.
Le cavie prescelte rispondono ai nomi di M.P., Half-Lung, Nick Stu e Tinker Bell e i loro racconti vi saranno presentati un giorno alla volta,a cominciare da quello di M.P. (ovvero del sottoscritto, scelta non di comodo, mi hanno persuaso con dolci parole).
Allora, godetevi queste quattro perle (?) e scrivete, scrivete, scrivete ciò che ve ne è parso.
A presto,
M.P.

Malinconia

Immaginate di vederlo da lontano.
Un'ombra in lontananza.
Giacca con il bavero alzato per coprirsi.
I pochi capelli sparsi al vento.
Immaginatelo là, sopra a quella scogliera.
Lo vedete?
Guarda il mare.
Immaginate stia pensando alla vita.
Guarda il mare.
Immaginate di avvicinarvi.
Blu, il cappotto è blu.
Se ne sta con le mani in tasca.
Fa freddo, ma la vista è così bella che vale la pena patire un pò.
Immaginate di camminare verso di lui.
Sta pensando alla vita, ricordate?
Arrivate fino ad invadere il suo spazio.
La sua intimità.
Fino a toccarlo.
Una ruga gli solca la guancia.
Sembra il percorso di una lacrima.
Con le mani in tasca pensa alla vita.
Guarda il mare.
Immaginate di potervi mettere accanto a lui.
E poi di fronte. A guardarlo.
Immaginate il sorriso delle sue labbra.
Illuminato.
Risparmiato dal vento.
Immaginate quel sorriso carico di malinconia.
E fissatelo negli occhi.
Fissatelo, se ne avete il coraggio.

mercoledì 14 novembre 2007

E di nuovo benvenuti

Come va? Noi benissimo, grazie, perché abbiamo una nuova carta nella nostra mano: si è infatti aggiunto alla più che notevole redazione del Cabo K.M., cantore di strada di cui potete godervi il bel blues qui sotto, come una specie di anteprima dei suoi lavori futuri, che sono certo non mancheranno di piacervi.
E' tutto. Fino alla prossima, godetevi la vita e siate felici...e lasciateci qualche commento, pliz, che qui si lavora solo e solamente per voi lettori, nella speranza di accendervi qualcosa dentro con le nostre scritture.
A presto,
M.P.

martedì 13 novembre 2007

Baby

Un tubo di ottone,
mani grondanti di Blues,
l'indice piatto sul manico e l'anulare in bilico tra le dita.
L'equazione è facile:
Uno...quattro...cinque
scivolare continuare a scivolare.
Un missisipi nero di malinconia corre tra campi bianchi di cotone

-labbra cotte dal sole piangono strani frutti-
Pause nere e ritmi tagliati.
Blues per le gonne che si alzano sotto i portici,
Blues per i latrati di un cane,
Blues per le acque stagnanti.
Armonici......
Prego abbassare il volume in uscita.


K.M.

martedì 6 novembre 2007

Forse

Qualche giorno fa ho fondato (si dice fondato?) un movimento artistico. Ne vado molto orgoglioso, quindi ho deciso di condividerlo con gli altri. Non sapendo però scrivere un manifesto, ho deciso di scrivere un manifesto, rendendo così manifesto il fatto che io non sappia scrivere un manifesto.
Un manifesto si articola sicuramente nei seguenti punti: che sono esattamente questi (:) due punti. Quali poi siano questi due punti, che ne so? ma poi chi se ne frega?

-Manifesto del Degeneratismo-
Il secolo delle rivoluzioni è finito da un pezzo. Non è neanche iniziato si può dire. Ma se guardiamo un po' più da vicino.
I punti fondamentali del Degeneratismo sono due: degenerare.
Come al solito, due punti, più degenerare fanno tre. Questo è Degeneratismo.

Bisogna degenerare, dissero
Bisogna degenerare, per dio (o Dio per i monoteisti), dissero con maggiore enfasi
Bisogna iniziare bene, poi degenerare. Ma questa è una traccia e non una regola. Qui degeneriamo, per le regole rivolgetevi altrove...

Perdere il proprio stile è il primo passo da compiere. Chiunque abbia uno stile non è degeneratista. Uscite dagli schemi, ma non fatelo in modo banale. Magari fatevi arrestare se serve.

Il Degeneratismo è un movimento artistico nato nel novembre del 2007, ma che dura poco.

Se volete aderire contattatemi (msn: nickstu@hotmail.it).

Addio ad Enzo Biagi

E' morto colui che probabilmente può essere indicato come miglior giornalista italiano del secolo.

Gradirei commenti da tutti voi.

lunedì 5 novembre 2007

Un'isola felice...


Oggi vorrei proporvi un sito.
E non dico altro, rischierei di darvi troppe informazioni, invece voglio lasciare a voi la curiosità di visitarlo. Vi lascio però un indizio (sono troppo buono)... Va bene va bene ve lo dico non ce la faccio a trattenermi...
Si tratta di un vignettista, si fa chiamare Rododentro, ma non so quale effettivamente sia il suo nome, forse Filippo, comunque questo è il suo sito/blog http://rododentro.blogspot.com/index.html.
La vignetta postata è tratta da questo sito ed è dunque un suo lavoro. Addio.

sabato 3 novembre 2007

Il fascino (in)Discreto della cinematografia

Salve a tutti i lettori del Cabo.
Incredibile ma vero, troviamo ancora dei folli disposti a pubblicare da free lance sul nostro giornaletto telematico, quindi ecco a voi un ottimo articolo del buon Mell (gli pseudonimi sono la norma, su cquesti lidi), studioso di cinema e feroce critico dell'appena conclusasi Festa Internazionale del Cinema di Roma. Evito qualsiasi giudizio, lasciando a voi i commenti.
A presto,
M.P.


18-27 Ottobre 2007:

FESTA INTERNAZIONALE DEL TAPPETO ROSSO DI ROMA


Caro signore Organizzatore della Festa Internazionale del Cinema di Roma, che ha parlato tanto bene e tanto a lungo nelle Università della città al fine di coinvolgere il maggior numero possibile di studenti, che ha introdotto riduzioni (del 10 %, ovvero 6,30 invece di 7 euro) per i giovani di età compresa tra i 18 e i 26 anni, che ha dotato la città di servizi di trasporto pubblico per agevolare il raggiungimento dell'Auditorium (posto in una zona lontana dalla Roma universitaria), che ha invitato Bertolucci a tenere una lezione sul cinema, che ha convinto Malick a conferire riguardo all'illustre cinema italiano attualmente in crisi, che è riuscito a raccogliere intellettuali del calibro di Enrico Ghezzi e Franco Battiato in un incontro solo alla modica cifra di 5 euro...

Non si è accorto delle numerose code inutili agli sportelli delle biglietterie?
Non si è accorto del gap tra domanda e disponibilità dei posti o ancora dello squilibrio tra posti disponibili e posti assegnati agli accreditati?
Non si è accorto delle numerose chiamate infruttuose al centralino della biglietteria telefonica e, soprattutto, non si è accorto che il numero di questo servizio è un 199 e per tanto a pagamento (e salatissimo per giunta)?
Non si è accorto che anche i film in arabo con sottotitoli in aramaico stretto risultavano "tutto esaurito" già qualche giorno prima della proiezione e che la sala della Casa del Cinema, dove si proiettavano film classici italiani gratuitamente, riusciva ad accogliere solo un terzo delle persone in coda?
Ma soprattutto, non si è accorto che i giovani sono risultati in realtà tagliati fuori da questo illustre Festival cinematopolitico?
Lo studente fuori-sede medio abita nel migliore dei casi a San Lorenzo o in Piazza Bologna (o altrimenti, più di frequente, sulla Casilina, sulla Prenestina, a Montesacro o a Roma Sud), non è dotato di un mezzo di locomozione, ha a disposizione un budget molto limitato ed è, di norma, impegnato per i corsi universitari dalle 9 di mattina alle 6 di pomeriggio.
Ora, dando uno sguardo al programma, individuando attentamente orario e luogo degli eventi e delle mostre, aggiungendo poi l'esigenza di prenotare almeno una settimana prima ed unendo infine il fatto che il programma è distribuito esclusivamente all'Auditorium Parco della Musica di via De Coubertin (o in maniera disorganica, inizialmente, su internet), risponda ad una semplice domanda: come può uno studente partecipare agli eventi del festival?
Si sarebbe potuto ovviare ai seguenti disagi in maniera molto semplice creando una collaborazione con le università romane, o almeno con quelle dotate di corsi di laurea riguardanti strettamente il campo cinematografico, si sarebbe potuto creare un circuito parallelo al mainstream con spazio ai giovani (simile al vostro concorso di cortometraggi, ma organizzato e pubblicizzato in maniera più efficace e seria) che, casomai, toccasse più parti di Roma con proiezioni pubbliche in diverse piazze della città. Sarebbe stato opportuno fare in modo che in tutta la città si respirasse l'aria della festa del cinema e non solo all'interno dell'Auditorium da coloro i quali vestivano elegantemente il cartoncino "pass" come fosse un orologio da tasca di platino. Sarebbe stato molto facile prevenire le pecche evidentissime del Festival, ma non è stato fatto niente, svelando così il disinteresse verso il giovani celato dietro la facciata dell'impegno e della promozione sociale.
"I giovani sono apatici e prevenuti contestatori del potere" - si potrebbe sentire dall'alto della terrazza del Pincio - non è assolutamente vero (nella maggioranza dei casi): basta promuovere eventi validi, spendere i soldi dei contribuenti in modo giusto ed evitare prese in giro per smuovere le corde assopite dell'approvazione e della partecipazione non polemica giovanile.
Sarebbe bastato badare meno alla forma e più ai contenuti, meno all'apparenza e più alla pratica... ma del resto la politica italiana è così, si sa, e non è facile cambiare qualcosa che si è radicato nell'essenza... si dovrebbe però evitare il contagio... ci vorrebbe una quarantena...
Ora signore Organizzatore della Festa Internazionale del Cinema di Roma sia sincero, sia onesto. Come è riuscito ad organizzare così male un festival che si presentava nel migliore dei modi (Ottimo il programma, ottime le mostre, ottimo l'ambiente, ottimi gli intenti)?
Forse fa parte anche lei della cospirazione che mira a fare del cinema un evento extra-artistico costituito da un allegro tappeto rosso con intorno qualche flash!


Mell



NB : L'esclusione dagli eventi di punta del festival mi hanno provocato una demenza temporanea della quale sono tutt'ora affetto, per cui non badate troppo alle mie parole.
Se tra i "pariolini", "pottini", "chiattili" o giornalisti, fotografi presenti agli incontri qualcuno avesse filmato qualche spezzone, vi sarei grato se metteste a disposizione un po’ di materiale su internet.

giovedì 1 novembre 2007

Requiescat in pacem

Fratelli e sorelle, siamo qui riuniti per piangere la morte della nostra esimia concittadina: La Repubblica. Tutti noi la conoscevamo, chi solo di vista, chi più profondamente; chi la frequentava per far bella figura e chi solo per avere il libro in allegato.
Chiedo scusa se il mio parlare è stato finora ambiguo, ma il cadavere che seppelliamo oggi non è quello marcio, corrotto, putrescente e disgustoso della Repubblica Italiana, bensì il corpicino cartaceo della Repubblica, quotidiano fondato da Eugenio Scalfari e diretto da Ezio Mauro. Quanti di voi sono cresciuti sfogliandolo? Io si, e sono sinceramente addolorato.
Perché? Chi avesse letto la Repubblica di recente si sarà accorto che quello che era uno dei pochi (forse l’unico insieme all’immortale Corriere della sera) quotidiani italiani non asserviti alle logiche di partito, è ultimamente scaduto a mezzo di propaganda del nascente partito democratico (almeno nelle pagine di politica interna). Evitando le polemiche sul minestrone democristiano-socialdemocratico che tentano di propinarci come nuova ventata nella politica italiana, voglio solamente constatare come sia ormai impossibile fruire di un’informazione indipendente ed oggettiva nel panorama giornalistico del bel paese, rammaricandomi per i miseri meccanismi del potere, che infiltrano i loro tentacoli viscidi in ogni pertugio rimasto libero dalla contaminazione cui si sta assistendo. Inoltre, l’impaginazione e la grafica della Repubblica erano originali e accattivanti, e mi dispiace ancora di più perché mi vedo costretto a scambiarle per quelle più asettiche e classiciste del Corriere. La grande cultura, e con lei l’intellettuale moderno ( o presunto tale), producono al meglio quando avversano i poteri precostituiti, non quando vi si sottomettono docilmente, scendendo a patti in cambio di visibilità, denaro, o qualsivoglia privilegio. Beh, è tutto, se il quotidiano in questione è troppo radicato nel vostro immaginario, vi consiglio di acquistarlo ugualmente, e lasciare all’edicolante tutte le pagine all’infuori della rubrica culturale, quella si, la migliore sul panorama italiano.

A presto.

M.P.