mercoledì 4 marzo 2009

UNA STORIA DI UN MORTO E DI UN INNAMORATO

La mano svaniva e ricompariva nell’asfalto duro e nero. Doveva essere abbastanza ridicolo in quella posizione. Gattoni lì all’angolo della strada. E vestito in giacca e cravatta per giunta.
Emise una risata, di quelle dure, come se dovesse rompere il ghiaccio, o terminare un silenzio imbarazzato.
Ma tutto non face altro che fargli tornare il vomito. Quante ne aveva bevute? La sua mente gli ricordava tre rum, quattro whiskey e svariate birre, ma era sicuro che aveva più volte sviato l’occhio vigile del suo io bevendone qualcuna di nascosto, magari girando lo sguardo verso quella spogliarellista e l’altra bella bionda al balcone, occupando così le meningi con ben altri pensieri e spostando il sangue verso zone più a valle per togliere nutrimento al cervello.
Cercò di rialzarsi, appoggiandosi e aiutandosi con il muro accanto a lui. “Marianne ti amo”.
La mano però non fece presa e scivolò di nuovo sul pavimento questa volta però con la schiena sul marciapiede e la pancia verso le stelle. Rise di nuovo, questa volta di gusto. Strisciò fino ad un lampione e qui riuscì a conquistare la postura eretta. Ora tutto sembrava più normale, anche se tremendamente lontano. La sua stessa mano sembrava poter raggiungere traguardi distanti, quasi non la riconosceva, così attaccata a quel braccio così lungo. “Marianne ti amo”.
Prese coraggio e cercò di muoversi per raggiungere quello che sembrava una cabina telefonica, e in effetti lo era. Cercò di fingersi capace di camminare tranquillamente, e si improvvisò equilibrista impettito, voleva dare a chi lo avesse visto (eventualità in realtà remota vista la strada ormai deserta) l’immagine del perfetto gentleman.
Dovevate esserci. Immaginate un completo ubriaco, (“Marianne ti amo”) che cerca di reggersi in piedi immedesimandosi in una parte non appartenente neanche alla sua sobrietà. Un frankestein improvvisato. Entrò nella cabina tirando un sospiro di sollievo, finalmente poteva di nuovo appoggiarsi. “Marianne ti amo”.
Cerco di ricomporre i proprio pensieri. Non poteva, li vedeva lì accanto a lui, sparsi come frammenti di un vaso caduto a terra. Si fece largo tra di essi e cercò di telefonare.
“Marianne di amo”.
Ricordarsi il numero non fu così difficile, in fin dei conti era scritto là.
“Salve, ho appena ucciso mia moglie”
“Si, potete trovarla a casa sul suo letto”
“Si, vi aspetto qui”
Uscì e si sedette su un gradino di un piano rialzato. Sullo sfondo sirene e aurore.
“Marianne ti amo”.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

non scopro certo io il talento del grande Palo Coelho, ma dico solamente che questo breve racconto fa venire i brividi per quanto è scritto bene

Nick Stu ha detto...

bravo palo!!